Mosaico
Seminare il grano ogni tre anni, si può
Nuove frontiere Sono allo studio i cereali “perenni” frutto di incroci con varietà selvatiche, e miscugli di semi che evolvono nel tempo
Nuove frontiere Sono allo studio i cereali “perenni” frutto di incroci con varietà selvatiche, e miscugli di semi che evolvono nel tempo
L’adattamento ai cambiamenti climatici è un problema che non riguarda solo alcuni settori agricoli, come quello del vino che lo fronteggia anche esplorando la frontiera dei vitigni cosiddetti “resistenti”. Anche il comparto dei cereali si interroga sul suo futuro. Produrre di più con meno è possibile? Una delle possibili risposte è quella dei cosiddetti “grani perenni”, che si affianca a un altro campo di sperimentazione, le “popolazioni evolutive”. Di cosa si tratta? Sono definiti grani perenni le varietà di frumento che è sufficiente seminare ogni tre anni, spiega il Crea, partner del progetto triennale Change-UP (Innovative agroecological approaches to achieving resilience to climate change in Mediterranean countries), finanziato dall’Ue nell’ambito del programma “Prima”. Sono piante ottenute incrociando il grano con il Thinopyrum, un grano perenne selvatico: producono spighe a ogni annata agraria, con costi ridotti per l’agricoltore. «I grani perenni vengono seminati verso la fine dell’autunno e in giugno-luglio avviene la trebbiatura. Dopo il raccolto, la pianta viene recisa a una decina di centimetri dal suolo, perché con l’arrivo dell’autunno ricaccia e nell’estate successiva si ha una nuova spigatura» informa il Crea nella scheda sul progetto curata dalla ricercatrice Laura Gazza. Tra i molti vantaggi, riducono i costi di lavorazione e piantumazione e l’erosione del terreno, aumentano la biodiversità e la biomassa sotterranea, avendo un apparato radicale molto sviluppato che migliora l’assorbimento di acqua e minerali e il sequestro di carbonio. «Non richiedono attività di diserbo ed essendo estremamente rustici non risentono particolarmente di attacchi fungini o di insetti» ha spiegato poi la ricercatrice alla rivista Agronotizie. Altrettanto interessanti sono le cosiddette “popolazioni evolutive”, cioè miscugli di semi di diverse varietà della stessa specie, seminati e affidati all’evoluzione spontanea della natura che provvederà alla selezione. Questi miscugli possono essere statici o dinamici: un miscuglio statico si compone mescolando un determinato numero di semi di ciascun componente all’inizio di ogni stagione, in modo che la composizione del miscuglio non cambi nel tempo. In questo caso i semi si piantano ogni anno, ma se il prodotto viene riutilizzato per la semina dell’anno successivo (in gergo “miscuglio dinamico”), si intercettano, spiega il Crea, sia gli effetti della selezione naturale che quelli degli incroci naturali. «Queste popolazioni, a causa degli incroci naturali, della ricombinazione genetica e della selezione naturale, si evolvono, adattandosi sempre meglio all’ambiente (fisico e agronomico) in cui vengono coltivate». Adattandosi naturalmente all’ambiente in cui sono coltivati, queste popolazioni evolvono diventando più produttive e più resistenti alle malattie. Il ruolo del Crea nel progetto è valutare la qualità delle popolazioni evolutive e dei grani perenni, alla ricerca di piante che assicurino gli standard tecnologici, nutrizionali e merceologici richiesti dal mercato. Il contro di questi grani e tecniche sono le rese, a oggi inferiori e che non permetterebbero di applicarle su larga scala. Per ora farine prodotte in questo modo non sono ancora reperibili in commercio.
La scienza in aiuto alla sostenibilità: nel caso dei cereali, l’incrocio di grani selvatici con altri moderni mira a piante seminate ogni tre anni; le popolazioni evolutive sono invece miscugli di semi che si adattano ai terreni.