Fatti
Servono più garanti dei detenuti. Accordo con l’Anci per aumentarne il numero
Il garante nazionale dei detenuti e l’Anci hanno siglato un accordo per aumentarne il numero. A Padova dal 2021 c’è Antonio Bincoletto
Il garante nazionale dei detenuti e l’Anci hanno siglato un accordo per aumentarne il numero. A Padova dal 2021 c’è Antonio Bincoletto
Croniche carenze d’organico, sovraffollamento, precario stato delle strutture penitenziarie in Italia continuano a essere le principali cause che, all’interno delle carceri, sono motivo di continue violazioni dei diritti umani, ma anche, nei casi più estremi, di violenze, torture e abusi di potere su chi si trova a scontare una pena. A complicare le cose, negli ultimi due anni si è messa di mezzo anche la pandemia che ha imposto lunghi e reiterati lockdown alle autorità penitenziarie per arginare i contagi: provvedimenti utili dal punto di vista igienico-sanitario, ma che hanno pesantemente segnato, non solo psicologicamente, la popolazione carceraria e chi ogni giorno si occupa del “sistema” tra giustizia, detenzione e rieducazione dei detenuti. Per cercare di arginare il drammatico problema della violazione dei diritti nelle carceri, già 25 anni fa la società civile intraprese nel nostro Paese un percorso per l’istituzione del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, che arrivò a un punto d’approdo nel 2003 con la sperimentazione di una figura di tutela autonoma e indipendente, fino a giungere nel 2013 alla creazione del “meccanismo nazionale di prevenzione della tortura e dei trattamenti o pene, crudeli, inumani o degradanti”, sebbene solo a inizio 2016 si raggiunse la reale operatività. Dal 2013 parecchie amministrazioni hanno provveduto a nominare, con regole proprie, un garante super partes per trovare risposte immediate senza dover attendere la figura di garanzia nazionale o quella regionale dove presente. Oggi si contano circa un’ottantina di garanti, principalmente comunali, ma c’è quanto mai bisogno di incrementarne il numero, perché non cessano le necessità di chi è privato della libertà. Uno Stato di diritto, com’è l’Italia, ha il compito di rispondere a questo pressante appello.
L’accordo tra Anci e Garante nazionale.
A inizio luglio Enzo Bianco, presidente del Consiglio nazionale Anci, e Mauro Palma, il garante nazionale, hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per sostenere e uniformare con linee guida precise la nomina e la figura dei garanti comunali, per consolidare la loro istituzione nei territori, anche attraverso la formazione, fornire un luogo di confronto e approfondimento nazionale. «Vogliamo fare in modo – ha evidenziato Enzo Bianco – che ci sia una diffusione omogenea di questa attività di controllo e una corretta informazione su quelli che sono i poteri e le responsabilità di questo organismo. Puntiamo ad aiutare i Comuni a fare in modo che questa attività possa favorire un migliore reinserimento nella società civile dei detenuti». Mauro Palma è convinto che l’Associazione nazionale comuni italiani sia l’istituzione che possa aiutare a dare omogeneità: «Insieme possiamo fare in modo che quelle che sono state generose iniziative fatte volontariamente da alcuni Comuni siano oggi delle strutture in grado di funzionare effettivamente».
Il Garante a Padova.
Si sono dovuti attendere sette anni nella città del Santo rispetto alla prima nomina regionale, con il regolamento comunale del 2020 per l’istituzione del garante dei diritti delle persone private o limitate nella libertà personale: il primo a essere eletto dal Consiglio comunale è stato Antonio Bincoletto ad aprile 2021. Ex insegnante di lettere in pensione, come puro e semplice volontario resterà in carica cinque anni e, oltre a occuparsi dei diritti delle persone detenute del circondariale (che attualmente ne ospita circa un centinaio) e della reclusione (all’incirca 650 detenuti), “dovrebbe” prendersi cura anche di tutti coloro che in generale sono privati o limitati nella libertà personale, come ad esempio per un trattamento sanitario obbligatorio, la chiusura in Questura in camera di sicurezza, la permanenza in centri per migranti… Ma la mole di impegno richiesta dalle due carceri è immensa. «Il lavoro è moltissimo – racconta Antonio Bincoletto – Dovrei essere presente in carcere un paio di mattine a settimana e in ufficio altri due pomeriggi (al secondo piano dello stabile dei servizi demografici di piazza Capitaniato 19 a Padova, ndr). In realtà, molto spesso mi reco nei due istituti di pena quasi tutti i giorni». Ha deciso di impiegare così la sua pensione a servizio di chi non ha voce o non riesce a essere ascoltato. «Il problema sta tutto nell’istituzione carceraria – aggiunge il Garante – le figure preposte all’amministrazione, alla giustizia, alla sorveglianza e alla rieducazione sono troppo, troppo poche. C’è una spaventosa carenza d’organico che si ripercuote sulle persone recluse: non è raro che, ad esempio, da una domandina per un colloquio con un educatore passino addirittura dei mesi». Bincoletto ha ben chiaro cosa rappresenti la sua figura e cosa debba fare per migliorare la situazione umana di chi è tra le sbarre, perché in carcere entra a nome della Costituzione: «Prima di tutto cerco di rispondere tempestivamente all’enorme mole di richieste di colloquio che mi giungono. In un anno ho fatto più di 600 incontri nelle sezioni tra le due carceri della città per i motivi più diversi: sovraffollamento, condizioni igieniche, salute, lavoro, recupero documenti, rapporti con le famiglie, permessi, convivenze nelle sezioni, comunicazioni interne dentro e fuori l’istituto… Cerco di ascoltare, prendere atto di quanto mi viene detto, incrociare le informazioni anche con chi lavora all’interno e poi intervenire». La parola d’ordine è sempre una: «Collaborazione con tutti, per capire dove si annida il problema e se sia reale. Voglio essere un ponte tra le persone recluse e chi si occupa della loro detenzione, perché tutto sia affrontato in tempi non biblici». Non sempre però chi lavora dentro è disponibile al confronto o al dialogo: il garante rischia di essere visto come un esterno che si intromette dentro a un meccanismo oliato, fatto di piccoli “feudi” e “potentati”. «Non voglio aggravare il lavoro di nessuno – conclude Bincoletto – ma ho l’obiettivo di far funzionare meglio l’istituzione. Alcuni sono resistenti, mi vedono come un intralcio: comprendo il loro lavoro, difficile, duro, complesso. Ma voglio alleggerire per quanto possibile anche il loro incarico». E da qui poi c’è tutto l’impegno fuori: incontri pubblici di sensibilizzazione sul tema, ma anche l’impegno per favorire il reinserimento sociale, accorciando le distanze con il mondo del lavoro, le famiglie, le strutture di accoglienza nel corso dei permessi…
Esattamente dieci anni fa in Veneto, all’articolo 63 dello Statuto regionale del 17 aprile 2012, venne istituita la figura del Garante regionale dei diritti della persona, figura autonoma e indipendente a tutela dei più fragili, tra le cui funzioni ci sono la promozione, la protezione e la facilitazione del «perseguimento dei diritti dei minori d’età e delle persone private della libertà personale», tra queste soprattutto quelle detenute che in Veneto sono circa 2.300, di cui 1.171 stranieri (sono gli ultimi dati del Ministero della Giustizia aggiornati al 31 marzo 2022) su una capienza regolare di 1.920 posti. La legge regionale 37 del 24 dicembre 2013 poi definì funzioni, requisiti, elezione e durata della carica di Garante regionale dei diritti della persona. Oggi a rivestire l’incarico fino al 2024 è l’avvocato Mario Caramel che ha prestato giuramento davanti al Consiglio regionale del veneto il 28 luglio di un anno fa.