L’oratorio della Madonna della Stua, un tempo molto venerato e situato nel centro di Padova in via Cittadella (ovvero l’antica strada della Stua che partiva dal ponte omonimo sul Bacchiglione, oggi interrato sotto corso del Popolo) è finalmente in restauro grazie anche alla grande generosità di una famiglia padovana legata da generazioni a questo luogo. La cappella, un tempo nota come Madonna delle Grazie, è sussidiaria alla parrocchia di Sant’Andrea ma di proprietà privata, incastonata nella struttura di palazzo Cittadella-Giusti del Giardino, dimora signorile degli omonimi conti. Era in stretta relazione con l’antistante complesso del convento di San Matteo, che dopo le soppressioni napoleoniche cadde in disuso e fu suddiviso in più lotti: se ne può ancora vedere tra i palazzi l’antica torre campanaria. La chiesetta della Stua, invece, è databile tra il 1485 ed il 1500: fu voluta dalla moglie del nobile Bartolomeo che acquistò il palazzo da un certo Antonio da Genoa. L’edificio era indipendente e accostato alle mura della città, quasi ad angolo con l’attuale corso del Popolo. Tra il 1906 e il 1908, quando si realizzarono i lavori per l’apertura del corso, fu demolita la porzione di cinta muraria comunale e venne tombinato il canale, con l’interramento del ponte. L’oratorio fu abbattuto e venne ricavato l’attuale, di dimensioni più ridotte, poco più in là, inglobato nel palazzo signorile. Dell’originaria struttura non si è salvato molto, a parte il dipinto dell’altare e forse parte della struttura dell’absidiola, di cui rimangono due colonne lapidee. Il dipinto è su tela, di autore anonimo, e raffigura la Vergine in Trono con il Bambino, San Francesco d’Assisi e San Nicola da Tolentino: fu realizzato a metà Seicento per sostituire un più antico affresco ormai rovinato dall’umidità. L’immagine è simile a quella che si venera nella basilica di San Marco, a Venezia, e riproduce la Madonna “Nicopeia”, ossia vincitrice, che veniva portata dai soldati per perorare la vittoria in battaglia. Divenne meta di devoti che vi si recavano per invocare la Vergine e impetrarne la grazia. L’oratorio si presentava degradato anche per il forte utilizzo di ceri devozionali, che hanno determinato una patina consistente sulle pareti oltre a un diffuso deposito superficiale di polveri. Gli intonaci presentavano estese fessurazioni e distacchi. L’intervento ora in atto è di carattere strettamente conservativo e riguarda tutte le differenti superfici pittoriche, lignee (soffitti e infissi) e lapidee. In merito alla pala d’altare, di particolare pregio, si provvederà invece a un’accurata analisi dello stato di conservazione: allo stato attuale è previsto solo un intervento di pulizia. L’intervento è seguito dall’architetto Eugenio Contin Arslan dello studio R&S Engineering di Padova, con il coordinamento dell’ingegnere Domenico Feriani. Il restauro è realizzato dal restauratore Pier Antonio Narduzzi della ditta Arca Restauri di Limena sotto l’Alta sorveglianza della Soprintendenza nella persona di Monica Pregnolato.