StorieSilvia indossa con cura le sue scarpette da arrampicata già logore, aderentissime al suo piede, quasi una seconda pelle.
L’imbragatura è ben posizionata, così il caschetto protettivo. Scruta minuziosamente tutto il materiale, tutte le protezioni mobili per scalare, che presto le servirà per salire: alcuni nut, dei friend, una serie di moschettoni e rinvii, dei cordini in kevlar (un materiale ad elevata resistenza). Li posiziona sull’imbragatura, perché siano a portata di mano, senza incertezze. Non può mancare il secchiello che le servirà anche per le calate. Avvolge con cura le sue mezze corde, sono le stesse da tempo. Oggi sarà una via con più tiri, in arrampicata tradizionale. Il suo sguardo si focalizza sulla roccia grigiastra e perpendicolare che si sviluppa imponente, quasi minacciosa, di fronte a lei: un primo passo verso il verticale. Silvia Loreggian, classe 1990, è nata a Padova. Oggi, oltre ad essere una guida alpina, si può annoverare tra le più blasonate alpiniste italiane. Negli anni ha praticato l’arrampicata in tutte le sue forme, ripetendo vie “iconiche” della storia dell’alpinismo e aprendo nuovi itinerari. Ma facciamo un passo indietro. Tutto parte dalla famiglia della giovane che le fa scoprire l’ambiente montano sin dai primi mesi di vita, «in modo semplice e naturale», dice. Da ragazza si appassiona soprattutto all’arrampicata, praticata sulle pareti vicino a casa (come Rocca Pendice) e sulle Dolomiti. Tra un tiro e l’altro riesce a laurearsi in Geografia e turismo all’Università di Padova nel 2014. L’anno successivo la padovana vive un periodo molto intenso dal punto di vista alpinistico, passando dall’arrampicare in modo dilettantistico, a viverlo con tutta sé stessa. Il cambiamento avviene affrontando una serie di scalate piuttosto impegnative che talvolta richiedono anche il bivacco in parete. «Ricordo il diedro Casarotto sullo Spiz di Lagunaz, sulle Pale di San Lucano nell’agordino: questa è stata la prima di tante altre vie lunghe che mi hanno permesso di acquisire fiducia. Mi piaceva molto quello che facevo, ne avevo le capacità. Da quelle esperienze alpinistiche ho iniziato a sognarne tante altre, sempre più ardue e articolate. È stato un anno importante che mi ha dato la spinta per mettere l’alpinismo al centro delle mie attività». Oltre a questo, altri tre sono i passaggi determinanti: il primo è il viaggio in Patagonia ad ottobre del 2016: dopo l’incontro con Stefano Ragazzo (anch’egli padovano, oggi guida alpina, noto arrampicatore e compagno di Silvia anche nella vita), Silvia decide di intraprendere con lui questa spedizione. «In quel periodo non sapevo che cosa ne sarebbe stata della mia vita, dal punto di vista lavorativo. Ma una cosa era chiara: non volevo stare in un ufficio. Nei mesi passati sulle pareti della Patagonia ho vissuto un po’ di pazzia giovanile, spinta dall’amore per Stefano e dalla passione per la montagna». Un’altra svolta importante nella vita della giovane è il periodo a Chamonix, in Francia, nel 2017: è lì che Silvia focalizza il desiderio di diventare guida alpina. E così avviene nel 2023. Infine, il terzo passaggio determinante, maturato negli ultimi anni e condiviso con il compagno, è di voler impegnare tempo e risorse in spedizioni ed imprese alpinistiche in giro per il mondo, «in realtà – dice – è quello che ci è sempre piaciuto fare». A tal proposito, di particolare rilievo sono gli itinerari nuovi aperti con Stefano: a ottobre 2022, la via Kalypso sul Sato Pyramide, una vetta di 6.100 metri di altitudine, in una valle inesplorata del Nepal, «è stata una vera e propria esplorazione». Inoltre la coppia a giugno 2023 scala la via Gold Rush nei Kichatna Spires in Alaska, «un’esperienza molto bella e importante». Per Silvia il poter vivere queste avventure con il compagno «è veramente bello, è prezioso poter contare l’uno sull’altro, condividendo questa grande passione». Silvia lega da sempre la montagna all’attività sportiva, l’arrampicata soprattutto: «Vivo un senso di appagamento nel fare uno sforzo fisico spesso in posti bellissimi, nella natura, con i suoi colori, i suoni, gli odori e la possibilità di conoscere nuove persone. Dopo una giornata tra i monti mi sento estremamente grata; mi rendo conto della fortuna che ho nel poter vivere di queste attività, mi piacciono così tanto. L’arrampicata mi dona un equilibrio, mi piace proprio il gesto stesso dello scalare. Quando sono in parete mi isolo da tutto il resto, vivo con una concentrazione massima quel momento. Una volta terminato, mi sento svuotata e al tempo stesso piena di energia. È come se mi ricaricassi scalando».
Un’altra esperienza significativa per l’alpinista padovana è la spedizione chiamata K2-70 voluta dal Club alpino italiano sul Karakoram 2 (conosciuto come K2), svoltasi la scorsa estate. Il progetto è nato per celebrare il settantesimo anniversario dalla prima ascensione sulla seconda vetta più alta della terra, posta tra il Pakistan e la Cina, realizzata da Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, con il contributo fondamentale di Walter Bonatti e Amir Mahdi. Otto le alpiniste coinvolte, quattro italiane (tra cui Silvia) e quattro pakistane. Nonostante non abbiano raggiunto la cima (Silvia e l’italiana Federica Mingolla sono arrivate al campo 3, a quota 7.330 metri, ma per problemi fisici hanno dovuto desistere), l’esperienza per la padovana è stata alquanto arricchente: «L’aspetto più positivo di quest’avventura – racconta – sono state le relazioni umane. Ho trovato degli amici. Partita con alcuni dubbi, la spedizione è stata una bella sorpresa: mi ha segnato, è stata caratterizzata da una pienezza umana incredibile. In particolare mi ha colpito l’affetto e la vicinanza che tutto il gruppo mi ha dimostrato ad ogni mio ritorno al campo base». Per la giovane, l’aspetto negativo del K2, oltre alla delusione per non aver raggiunto la vetta, è «l’aver sofferto il mal di montagna salendo in alta quota, terribile». Sull’alpinismo che oggi Silvia vive con Stefano, evidenzia che «è a 360 gradi in quanto le nostre attività spaziano dall’arrampicata su roccia, all’aprire un itinerario nuovo; da un concatenamento con gli sci ad una scalata su ghiaccio e altro ancora. Ci vuole creatività». Dopo essere salita su diverse pareti e cime in varie parti del mondo, l’alpinista padovana è sicura del fatto che «rimangono le Dolomiti le mie montagne di casa, mi piacciono tantissimo, sono nel mio cuore. È lì dove mi sento totalmente a mio agio. Le possibilità che si possono avere sulle Dolomiti sono incredibili. È il posto dove per me tutto ha avuto inizio». Per i progetti del prossimo futuro Silvia si sbilancia dicendo di voler «stare sulle Alpi, più a contatto con il territorio, con le comunità locali».
Silvia Loreggian è un’alpinista padovana, classe 1990. Quest’estate ha partecipato alla spedizione sul Karakoram 2 (conosciuto come K2) con altre otto alpiniste (quattro italiane e quattro pakistane) chiamata K2-70 per celebrare il settantesimo anniversario dalla prima ascensione italiana alla celebre montagna. Furono Achille Compagnoni e Lino Lacedelli a raggiungere la cima, con il contributo fondamentale di Walter Bonatti e Amir Mahdi. Silvia e Federica Mingolla sono arrivate al campo 3, a quota 7.330 metri, ma per problemi fisici hanno dovuto desistere.
Silvia Loreggian è compagna di vita e di cordata di Stefano Ragazzo che l’estate scorsa ha compiuto l’impresa alpinistica in solitaria sulla via Eternal Flame sulla Nameless Tower (6.251 metri) nella catena del Trango Tower, in Pakistan.
