Chiesa | Diocesi
«Sono venuto qui a Padova per la seconda volta e questo è il momento più opportuno per ringraziare la Diocesi di Padova, come quella di Treviso e di Vicenza, per tutto l’appoggio e la solidarietà che hanno dimostrato in questi anni al vicariato apostolico del Caronì».
Con queste parole, si conclude l’interessante conversazione con il vescovo Gonzalo Alfredo Ontiveros Vivas, dal 2021 vicario apostolico del Caronì, 80 mila chilometri quadrati nel quadrante sud-est del Venezuela che ha come capoluogo la città di Santa Elena de Uarèn.
Si tratta di un territorio immenso divenuto Chiesa grazie all’opera dei Cappuccini che dal 1922 hanno condotto una missione di evangelizzazione e promozione umana insieme, permettendo la bonifica dei terreni, la costruzione delle strutture necessarie, in particolare delle scuole per i bambini, fino agli impianti idroelettrici per consentire alla popolazione di godere dei vantaggi dell’energia elettrica. Oggi nel Caronì sono attive sei parrocchie, otto sono i preti diocesani di cui tre indio, due i missionari, mentre il vescovo Gonzalo e altre cinque presbiteri sono arrivati nel 2021, dopo che i Cappuccini hanno dovuto lasciare la missione e la Santa Sede ha chiesto alle Diocesi venezuelane di sostenere il vicariato: all’appello ha risposto la Diocesi di San Cristòbal. Vivono circa 40 mila persone, un quarto delle quali sono battezzate, mentre il 90 per cento è indigeno, il resto creolo.
I numeri sono tuttavia incerti: «La popolazione indigena non è tutta classificata – racconta mons. Vivas – e soprattutto, il nostro territorio è da anni un ponte per l’emigrazione in uscita dal Venezuela verso il Brasile per molte persone che hanno deciso di lasciare il Paese». Stando agli ultimi dati sono 8 milioni i cittadini venezuelani che dal Caronì sono passati nello stato brasiliano di Roraima. Ed è così che si è attivato il contatto con le Diocesi venete: «Don Mattia Bezze e don Giuseppe Danieli (di Treviso, ndr) sono attivi a Pacaraima, città del Brasile molto vicina a Santa Elena – continua il vescovo Gonzalo – Con il loro aiuto, abbiamo fatto molto per i migranti, la cui accoglienza è gestita dall’esercito brasiliano, dall’Unhcr e da una serie di ong. In parrocchia c’è posto per accogliere 80-100 persone, ma in città operano anche chiese protestanti e mormoni e la sensazione è che ci sia una buona collaborazione a sostegno di chi esce dal Venezuela e di chi rientra. Ma per don Mattia e don Giuseppe è anche molto semplice raggiungere alcune parti del vicariato particolarmente lontane per noi».
In tre delle sei parrocchie, infatti, il pastore arriva solo in aeroplano e gli stessi costi per la vita pastorale sono importanti. «In questo momento storico – riprende il giovane vescovo – il nostro impegno missionario consiste proprio nel creare relazioni e alleanze, per ristrutturare molte opere create dai Cappuccini che nel tempo sono deperite».
Il Venezuela di Maduro oggi si trova sotto pressione. Da un lato la scelta di Trump di combattere il narcotraffico anche affondando navi in partenza dal Paese, dall’altro il riconoscimento del Nobel per la pace a Marìa Corinna Machado che ha acceso un faro sulla situazione del Paese. La Chiesa risente della crisi generale, anche nelle Diocesi più grandi, ma domenica scorsa ha festeggiato i primi due santi: «Madre Carmel Rendiles e Gregorio Hernandez rappresenteranno per il Venezuela una speranza, la fede che si rinnova in un popolo che ha sempre lottato per delineare il suo futuro anche grazie alla preghiera – conclude il vescovo Gonzalo – Questi due santi quindi riaprono l’orizzonte e la spinta verso un domani migliore».