Sport violento, abbiamo le nostre colpe. Basta prese in giro
Le parole del vescovo di Rieti, mons. Vito Piccinonna, dopo la morte di Raffaele Marianella, colpito da un gruppo di ultras, riportano dignità e verità nel dibattito sulla violenza nello sport: riconoscere il male che ci abita è il primo passo per sanarlo e restituire umanità al gioco e alla società
«Da sempre vediamo nello sport una delle anime della nostra comunità. E la pensavamo matura, capace di contenere l’agonismo nel perimetro del gioco, di trovare nel confronto tra squadre l’occasione per riconoscersi, non per dividersi. Quando la violenza prende il posto del tifo, quando un incontro sportivo genera morte, si rompe qualcosa che riguarda tutti, non solo chi ha commesso il gesto, ma anche chi abita gli stessi luoghi, chi ne condivide il nome e la storia. Occorre riconoscere di essere abitati dalle peggiori pulsioni e saperle governare».
Sono parole francamente oneste, trasparenti, ben lontane dal prontuario delle frasi fatti che attori del mondo sportivo italiano utilizzano sempre e costantemente in circostanze gravi. Le ha pronunciare mons. Vito Piccinonna, vescovo di Rieti, dopo aver appreso la notizia della morte dell’autista Raffaele Marianella, di 65 anni, avvenuta lungo la superstrada Rieti-Terni dopo l’agguato, con pietre e mattoni, subito dal pullman sui cui si trovava insieme a un suo collega e ad alcuni tifosi del Pistoia basket di ritorno dall’incontro con la Sebastiani Rieti, domenica 19 ottobre.
Le parole del vescovo sono una luce in mezzo a tanta disumanità. La disumanità di chi ha compiuto il vile gesto (sono stati fermati tre ultras che secondo la Questura di Rieti sono attivi nei gruppi di tifo organizzato della Curva Terminillo, legati a movimenti di estrema destra), ma anche la miseria di chi se ne lava le mani servendosi dell’espressione «sono persone violente che non c’entrano nulla con lo sport». Anzi, come ha scritto il ministro dello sport Andrea Abodi «delinquenti che si sono trasformati in assassini e non potranno mai essere definiti tifosi». E, invece, no. La cultura della violenza è anche nello sport, purtroppo, che altro non è se non uno “spaccato” della nostra società già infettata da odio e discriminazioni. Ammetterlo, come dice mons. Piccinonna, sarebbe già il primo passo per debellare un virus che pensavamo circoscritto al calcio. Facciamolo per Raffaele e per la sua famiglia. Facciamolo per la nostra credibilità e umana coscienza.