Una tragedia umanitaria, ma anche una ferita aperta nella coscienza globale. Il 22 agosto l’Onu ha ufficialmente dichiarato, per la prima volta in Medio Oriente, lo stato di carestia a Gaza. Come ha sottolineato il comitato IPC (Integrated Food Security Phase Classification), nella Striscia la situazione è “catastrofica” per oltre mezzo milione di persone. Inoltre, il devastato sistema sanitario non è in grado di far fronte alle enormi necessità. Secondo l’Oms, circa 14mila gazawi dovrebbero essere urgentemente evacuati per ricevere cure mediche salvavita per lesioni traumatiche che non possono essere curate localmente, oppure cancro o malattie cardiovascolari che richiedono un intervento specialistico immediato.
Secondo Onu e Unicef, circa 50mila bambini sono morti o feriti, circa 17mila sono rimasti senza famiglia e circa 1 milione sono stati sfollati. SOS Children’s Villages Palestine, presente nella regione – a Betlemme dal 1968 e nella Striscia di Gaza dal 2000 – è un punto di riferimento per la popolazione locale. SIR ha intervistato Reem Alreqeb (nella foto), direttrice del Gaza Program per SOS Children’s Villages Palestine.
Reem Alreqeb, qual è la situazione sul campo?
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È una catastrofe umanitaria senza precedenti.
Oltre mezzo milione di persone vive in condizioni di fame estrema, e il sistema sanitario è completamente devastato. Le famiglie sono ammassate in rifugi sovraffollati, senza privacy, sicurezza o accesso a beni di prima necessità. Le donne cercano disperatamente di proteggere i propri figli, ma senza cibo, acqua pulita o assistenza medica, è
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una lotta quotidiana contro l’impossibile.
Qual è la condizione dei bambini?
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I bambini stanno pagando il prezzo più alto.
Hanno perso genitori, casa, scuola, e quel senso di sicurezza che ogni infanzia dovrebbe avere. Per molti la realtà quotidiana è fatta di paura, incertezza e privazioni: soffrono di incubi, ansia, profonda tristezza. Alcuni sono rimasti completamente soli. Invece di andare a scuola, passano le giornate in fila per un p0′ di cibo o un po’ di acqua. Eppure, mostrano una resilienza straordinaria. Ma non basta. Hanno bisogno di stabilità, protezione, amore.
SOS Children’s Villages è presente a Gaza dal 2000. Come riuscite a operare in queste condizioni?
Con enorme difficoltà. Il nostro campo a Khan Younis ha un pozzo, ma per pompare l’acqua serve carburante: quando manca, e succede spesso, non c’è acqua. Fuori dal campo le famiglie utilizzano spesso fonti non sicure, con gravi rischi per la salute. I prezzi del cibo sono fuori controllo, e nei mercati non si trova quasi nulla perché le scorte sono quasi esaurite. I medicinali sono gravemente carenti. Nonostante ciò, continuiamo a fornire assistenza alternativa ai bambini non accompagnati, offrendo protezione, supporto psicosociale, spazi sicuri e accesso a beni essenziali.
Cerchiamo di ricostruire un senso di famiglia e dignità, anche in mezzo al caos.
Quali sono le maggiori sfide per gli operatori umanitari?
La più grande è garantire il minimo indispensabile ai bambini già affidati alle nostre cure. Cibo, acqua pulita, medicine e un ambiente sicuro. Ma riceviamo ogni giorno richieste disperate da famiglie vulnerabili che non riusciamo sempre a raggiungere. È straziante sapere che ci sono bambini che hanno bisogno di tutto e non poter fare abbastanza. Eppure, il nostro personale continua a operare ogni giorno con grande dedizione, spesso assumendosi rischi personali.
Stiamo assistendo a livelli di violenza inimmaginabili. Anche la distribuzione degli aiuti è diventata pericolosa.
Sì, famiglie innocenti vengono uccise mentre cercano di ottenere beni di prima necessità. Ma non ci sono alternative, non si tratta di una scelta: è sopravvivenza. Con i mercati quasi vuoti e con prezzi fuori controllo,
i genitori non possono restare a guardare i propri figli morire di fame.
Per questo, anche in mezzo ai bombardamenti, continuano a cercare gli aiuti. È un atto di disperazione, ma anche di speranza. Gli aiuti non sono solo cibo:
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rappresentano anche l’umanità, la speranza che il mondo non li dimentichi e si prenda cura di loro.
In una lettera, la first lady turca Emine Erdogan ha esortato Melania Trump a prendere posizione a difesa dei bambini di Gaza. Cosa chiedete alla comunità internazionale?
Di agire subito con coraggio e decisione. Di fermare la guerra perché questa sofferenza è intollerabile. Di garantire un accesso umanitario su larga scala, sicuro e permanente. Di proteggere i civili, soprattutto i bambini. E di non limitarsi agli aiuti alimentari e alle forniture sanitarie: servono servizi psicosociali, istruzione, supporto emotivo. La sopravvivenza non è solo fisica. È anche emotiva e psicologica.