Ancora negli anni ’90 del secolo scorso, usare il telefono in Africa era un’impresa. Molte località erano del tutto isolate. Per chiamare il Malawi dal confinante Mozambico, ad esempio, occorreva passare dai centralinisti a Lisbona. Oggi è tutto diverso. Chi crede che il Sud del mondo sia digitalmente più arretrato del Nord, si sbaglia. La rivoluzione digitale ha trasformato la comunicazione e il lavoro al Sud tanto quanto al Nord del mondo. E, sorpresa sorpresa, i maggiori innovatori provengono da Paesi come l’India e, sempre più, dall’Africa.
Un esempio importante viene dal Kenya. Per monitorare le elezioni nazionali del 2007, alcuni sviluppatori locali crearono Ushaidi, parola swahili che vuol dire testimonianza. Questa app permette agli utilizzatori di aggiornare in tempo reale la situazione sul territorio, in modo da monitorare eventi e pianificare una risposta in caso di emergenza. Ushaidi venne usata dall’Onu per la prima volta dopo il devastante terremoto di Haiti del 2010. Da allora è usata dalle agenzie dell’Onu perché permette di ottenere informazioni da luoghi remoti o in situazioni di crisi, e quindi inviare le risorse dove sono più necessarie.
Sempre nel 2007, una compagnia di telefonia mobile di Nairobi lanciò il servizio Mpesa. Questa app permette di inviare e ricevere denaro in tempo reale in tutto il paese. Oggi, il 61 per cento dei kenyani non usa contante ma il telefono per pagare beni e servizi, e trasferire denaro ad altre persone. In Uganda si usa Mtn Mobile money, e altri sistemi stanno crescendo in tutti i Paesi. Altre app molto comuni nel continente sono Esoko, che permette ad agricoltori e imprese, ong e governi di comunicare tra loro, favorendo le attività agricole; e Vula mobile che mette in contatto gli operatori sanitari con i loro pazienti. Possono essere effettuati test diagnostici attraverso i dispositivi mobili, ottenendo diagnosi accurate.
Ora che è esplosa l’intelligenza artificiale, che cosa succederà al Sud del mondo? Secondo le stime di vari osservatori economici, l’Ia potrebbe contribuire fino a 16 trilioni di euro all’economia globale entro il 2030. Una cifra enorme. Sebbene tutti ne trarranno beneficio, i Paesi più poveri vedranno il divario tra loro e il Nord divaricarsi ancora di più. Da una parte, questi Paesi non hanno le risorse per sostenere la ricerca e la sperimentazione locale. Dall’altra, la dipendenza da tecnologie straniere determina se e quali benefici potranno ricevere.
Il centro di ricerca “Oxford insights” ha pubblicato un rapporto sul livello di preparazione all’uso dell’Intelligenza artificiale in 181 Paesi: le regioni con il punteggio più basso includono gran parte dell’Africa subsahariana, alcuni paesi dell’Asia centrale e meridionale e alcuni paesi dell’America Latina.
L’applicazione dell’Ia al quotidiano richiede investimenti, competenze e ricerca. L’Ia ha bisogno di dati, che vanno raccolti in modo trasversale nella società, e in modo scientifico. Quindi occorrono ricercatori che sviluppino la raccolta dati, la loro interpretazione e aggiornamento in tempo reale. Questo è facile là dove vi sono università e centri di ricerca attrezzati, non sempre presenti nei paesi più poveri.
L’Ia ha anche dei rischi significativi, provenienti dalla manipolazione dei dati su cui si basa. Qui si misura anche la maturità politica dei vari popoli. Là dove si hanno dittature o democrazie fragili, sarà anche difficile sviluppare strumenti di Ia utili alla società.
Lo sviluppo ed uso dell’Ia può essere un motore di crescita sociale ed economica. Per ora il Sud del mondo è coinvolto solamente nei settori che impiegano lavoratori mal pagati per eseguire la raccolta e correzione dei dati utilizzati poi da compagnie occidentali.
Sarebbe opportuno accedere anche alle risorse di competenza e creatività che il Sud offre per dar vita a sistemi di Ia capaci di rispondere alle esigenze delle popolazioni locali, e questo sarà possibile solo con scelte politiche lungimiranti dei Paesi tecnologicamente più avanzati.