Fatti
Nonostante tutto, nonostante i dazi (veri oppure presunti), le tensioni internazionali, la crisi generalizzata di molte economie, le vendite di prodotti agroalimentari dell’Unione europea sono cresciute in questi ultimi mesi. Certo, alcuni numeri positivi non raccontano tutta la realtà, ma indicano che comunque questa stessa realtà va osservata con attenzione.
Qualche giorno fa il rapporto sul commercio agroalimentare della Commissione europea ha mostrato che il valore del surplus commerciale agroalimentare dell’Ue è tornato a 4,4 miliardi di euro. Le esportazioni sono aumentate a febbraio 2025, mentre le importazioni sono leggermente diminuite, pur rimanendo significativamente superiori rispetto a febbraio di un anno fa. Come sempre, occorre leggere bene i numeri. Prima di tutto, nell’equilibrio tra i valori di import ed export ha giocato e gioca molto l’aumento dei prezzi globali. Detto, appunto, in numeri, le esportazioni agroalimentari dell’Ue hanno raggiunto i 19,6 miliardi di euro a febbraio 2025, con un aumento mensile del 3% e dell’1,4% rispetto a febbraio 2024. Le importazioni agroalimentari, invece, sono state pari a 15,2 miliardi di euro a febbraio 2025, in calo del 5% rispetto a gennaio, ma comunque superiori del 15% rispetto ai livelli dell’anno scorso a causa – come si è detto – degli elevati prezzi globali.
Il tema cruciale, com’è naturale, è quello delle relazioni con gli Usa. Nonostante il continuo altalenare tra dazi minacciati, altri già in vigore e altri ancora spostati in avanti, quello statunitense continua ad essere il primo mercato d’esportazione extra-Ue. Stando ai calcoli della Commissione, infatti, gli Stati Uniti sono rimasti la seconda destinazione dell’Ue dopo il Regno Unito. Anche qui i numeri fanno capire molto. Le esportazioni nei primi due mesi dell’anno sono cresciute di 413 milioni di euro (+9%) rispetto allo stesso periodo del 2024. Un salto notevole che aumenta al 13% se si guarda al confronto tra 2023 e 2024. Analogamente, le importazioni di prodotti agroalimentari dagli Usa, sono cresciute di 329 milioni di euro (+14 %), in particolare a causa di un aumento delle importazioni di mais (che ha sostituito parzialmente quello che prima era in arrivo dall’Ucraina).
Dentro questi numeri generali, com’è naturale, c’è il dettaglio dei comparti e dei singoli prodotti. Ma soprattutto c’è l’incertezza del futuro. Una condizione che viene spiegata bene proprio dai rappresentanti di uno dei settori più a rischio: quello dei vini. Nello scorso maggio, per esempio, all’ennesima minaccia del presidente Donald Trump di porre dazi ai vini pari al 50%, Lamberto Frescobaldi, presidente dell’Unione italiana vini, non aveva esitato a dire: “La nuova minaccia del presidente Trump rappresenta un ulteriore fardello di incertezza per le imprese italiane, a partire da quelle del vino. Da mesi ormai il settore, che negli Stati Uniti spedisce il 24% (1,94 miliardi di euro) dell’intero export enologico, non riesce più a programmare il proprio futuro, e questo è un danno enorme, a prescindere dall’entità del dazio”. E per far capire ancora meglio, sempre l’Uiv aveva spiegato come proprio in questo periodo le imprese vitivinicole stiano facendo i piani di investimento promozionale in tutto il mondo, Stati Uniti compresi. Piani che, naturalmente, risultano pressoché impossibili oppure estremamente rischiosi.
A questo punto che fare? Quanto chiesto a Bruxelles e a Roma da parte dei produttori di vino, vale un po’ per tutta la filiera agroalimentare nazionale ed europea: intensificare le trattative, “perché il fattore tempo rappresenta ormai sempre più una discriminante fondamentale”.