Chiesa
Siamo nell’era dei like e degli emoticon, le faccine che costellano i nostri scambi di messaggistica coi social network. Arriviamo a credere che la comunicazione sia tanto più efficace quanto sia più rapida ed immediata. Anche quando inviamo un messaggio vocale in fondo stiamo risparmiando il tempo di sentire l’interruzione e la risposta dell’altro come avverrebbe in una normale telefonata. Quello che avviene con in mano i nostri smartphone non è che una conseguenza di un modo più ampio di relazionarci con il tempo. Dobbiamo ammettere che anche fra le mura di casa spesso siamo incalzati da ritmi che ci siamo imposti o che sentiamo inevitabili per cui anche nelle relazioni con i nostri prossimi più intimi è come se fossimo sempre spinti da una voce che ci dice “Non ho tempo, ne parliamo un’altra volta”. L’ansia di rincorrere un succedersi di tante cose da fare nell’arco della giornata interviene in modo massiccio nella qualità dei nostri rapporti a partire da quelli famigliari per spostarsi in tutti gli ambiti del nostro agire. Con un pizzico di onestà dovremmo riconoscere che questa fretta ancestrale è dentro di noi senza che quasi la sappiamo riconoscere, condiziona i nostri pensieri e le nostre azioni e non sappiamo più neanche bene da dove ci arrivi. È il frutto di un efficientismo superficiale che ci spinge a far prevalere sempre il fare sull’essere con la conseguenza di essere sempre meno disposti a “perdere”, o piuttosto a offrire il nostro tempo all’altro senza contingentarlo prima al millesimo, ma lasciando davvero al nostro interlocutore la possibilità di aprirsi con agio e rilassatezza ed ottenere un ascolto attento e partecipe. La qualità della relazione dovrebbe essere sempre il nostro obbiettivo primario, ben prima e al di sopra delle tante cose da fare e degli stessi problemi da affrontare. Anche nelle conversazioni fra coniugi prevale troppo spesso l’urgenza di risolvere l’incombenza immediata e rimandare a data da destinarsi il tempo per un confronto a livello più profondo. In tale ottica il tempo estivo, soprattutto quello vissuto in ferie, dovrebbe indurci a rallentare un poco e riscoprire il piacere, oltre che la necessità di scambi a ritmi più lenti che ci permettano di essere più pienamente noi stessi nel rapporto di coppia e con i figli. Di fatto succede proprio di rado che ci si dedichi all’altro senza avere l’orologio alla mano, ma capiamo bene che l’intensità dei nostri vincoli affettivi si nutre proprio di questa gratuità e generosità. È attraverso il dono di un dialogo fecondo e costruttivo che la famiglia cresce nella sua unione e non si limita ad essere un gruppo di persone organizzate per risolvere problemi. Sapersi ascoltare significa anche saper trovare il momento giusto per dirsi o farsi dire cose che hanno bisogno di uno spazio e un tempo dedicati, quieti, sgombri da affanni d’altro tipo.
Anche in ottica spirituale si tratta di seguire Gesù quando dice a Maria di Betania che nel sedersi ai suoi piedi per ascoltarlo ha scelto la parte migliore, rispetto all’affanno per preparare di cui si è fatta carico la sorella Marta. Sappiamo che in ciascuno di noi sono compresenti queste due figure con più o meno sbilanciamento su uno o l’altro aspetto che le contraddistingue. Il Maestro non aveva certo intenzione di sminuire il lavoro di cura e di accoglienza offerto a lui e ai suoi da Marta, ma riconosce in lei il rischio di farsi prendere dalle troppe cose e non riuscire a godere di un’intimità che bisogna saper mettere al primo posto. Anche gli sposi sono chiamati a dirsi e ridirsi che le loro persone vengono prima di qualunque altra cosa, talvolta anche prima dell’accudimento e dell’ascolto dei figli. La pianta famigliare cresce rigogliosa sulla scorta del tempo dedicato con pazienza e amore dagli sposi l’uno all’altro. Quando una famiglia cristiana sa dare le giuste priorità di attenzioni al suo interno, mostra subito un volto incoraggiante e che predispone anche gli altri ad aprirsi al confronto. È così che si aprono le porte e le finestre perché la casa non resti un luogo autoreferenziale, ma una cellula luminosa che attrae i fratelli e li fa sentire a loro agio nel bussare per chiedere aiuto o condivisione.
L’augurio è che per tutti vi siano nel corso dell’anno dei momenti in cui “rassettare le reti”, vedere a che punto si è del cammino, acuire le facoltà percettive per rinnovare il proprio slancio di testimonianza nel mondo che è prima di tutto capacità di ascolto e farsi prossimi.