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Rubriche | I Blog/L'alfabeto della politica - don Giorgio Bozza

domenica 5 Luglio 2020

U come utilità. Bello e buono sono inscindibili

Il bene comune, in quanto bene morale, ha bisogno del bello per diffondersi

Giorgio Bozza

Capita, a margine di un incontro, un convegno o al termine di una lezione, che qualche persona mi avvicini o mi contatti chiedendomi qualche riferimento per approfondire l’argomento trattato.

Quando si parla di politica, il mio consiglio è di leggere un piccolo libro – piccolo di dimensioni, non certo per il contenuto – dal significativo titolo: L’utilità dell’inutile di Nuccio Ordine. Mi diverte vedere il volto stupito dei miei interlocutori quando propongo questa lettura: pensano li stia prendendo in giro, come se considerassi la politica qualcosa di inutile. Invece è proprio il contrario.

Illustrazione di Gloria Bissacco.

Il testo dell’ordinario di letteratura italiana all’università della Calabria documenta con molti esempi, che spaziano dalla letteratura alla tecnica, passando per l’economia, la scienza e tanto altro, come il progresso dell’umanità nei diversi ambiti ha spesso avuto origine dal lavoro di uomini e donne che si sono spesi su progetti, sogni, idee inutili, che non avevano cioè nessuna utilità pratica nell’immediato: solo dopo molti anni, questi si sono rivelati fondamentali per altre scoperte. Queste, infatti, furono possibili grazie a studi e ricerche di donne e uomini pazzi e disinteressati, spesso morti nella miseria e senza nessuna fama o ricordo dei posteri. Donne e uomini che hanno investito tutta la loro vita nella ricerca scientifica, nel mondo della letteratura, poesia e tanto altro non per profitto, nemmeno per la gloria postuma, ma semplicemente perché appassionati.

Non potrebbe essere così anche per la politica: quello che nell’immediato sembra inutile, in futuro non potrebbe rivelarsi molto utile? L’agire politico, sempre attento alla dimensione del pratico, non può trascurare l’importanza di tutto ciò che, secondo una visione utilitaristica e consumistica, è inutile: letteratura, musica, teatro, danza e tutte le arti. Tuttavia, se interpretiamo il termine utilità come «ciò che può rendere l’uomo migliore», secondo il significato che ne dà Tolstoj, possiamo comprendere quanto siano importanti queste arti “inutili”.

Tutti siamo d’accordo sul fatto che è molto più utile riparare un lampione, coprire una buca o sistemare gli infissi di una scuola piuttosto che ascoltare un attore che recita una poesia di Leopardi o la presentazione di un libro, ma una cosa non deve necessariamente escludere l’altra. Il tempo “perso” in attività, come assistere a una rappresentazione teatrale o a un concerto di musica classica non produce nulla di pratico: in apparenza. Infatti, l’apertura mentale, che si sperimenta “mirando interminati spazi” e la “profondissima quiete” che dona una poesia, crea le condizioni indispensabili per immaginarsi un mondo migliore, una società più solidale, strade nuove per realizzare il bene comune. La bellezza, in tutte le sue forme, apre una breccia nel nostro sentire e ci predispone a realizzare il bene.

Non a caso, la traduzione del termine ebraico Tov, che troviamo nel primo libro della Genesi al termine di ogni giorno della creazione, significa “bello” e “buono”. Il bello trascina la persona nel buono e viceversa. Il bene comune, in quanto bene morale, ha bisogno del bello per diffondersi.

È vero che un amministratore deve fare i conti con le poche risorse, ma un investimento sul bello è in grado di «insegnare alla gente che ci sono attività che servono a nulla e che è indispensabile che ve ne siano» (Wilde) se non vogliamo ritornare nelle caverne, per poi accorgerci che anche le pareti di questi primitivi ricoveri sono imbrattate di tanti “segni inutili”.

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