Fatti
Non si parla già più del nuovo round di incontri che si sarebbe dovuto tenere a Budapest in questi giorni e che avrebbe dovuto vedere Donald Trump e Vladimir Putin attovagliati a casa di Viktor Orbán.
Non se ne parla più perché la Russia ha prima smentito di essere interessata a un accordo con il Paese che ha invaso ormai tre anni fa e perché, evidentemente per ribadire il concetto sul piano internazionale e rinforzare l’immagine di forza e risolutezza del proprio regime su quello interno, ha deciso di testare un nuovo missile da crociera a lungo raggio che fa il paio con l’annunciata “cupola d’oro” antimissile degli americani.
Nel mezzo in Ucraina si continua a sopravvivere e morire. «Trump, appena eletto, sembrava il salvatore e poi, quando ha fatto quella scenata la prima volta che ha incontrato Zelensky, ha perso credibilità per la gente». A raccontarlo è don Moreno Cattelan, missionario orionino originario della Diocesi di Padova, attivo a Kyiv e ormai affermato “corrispondente di pace”. «La situazione è un po’ particolare, perché continuano a bombardare ma hanno cambiato tattica: prima ci colpivano con centinaia di droni, mentre in questo periodo arrivano più bombe. L’obiettivo è la rete elettrica: puntano a lasciarci al freddo e al buio».
Nei grandi caseggiati, alcuni ancora eredità del periodo sovietico, tutto è elettrico. Il riscaldamento, gli ascensori che permettono alle persone di salire di decine di piani e persino l’autoclave che manda l’acqua nei rubinetti. Colpire la rete elettrica, insomma, non rende solo la notte più buia ma equivale a un vero attacco terroristico alla popolazione civile che è costretta riparare negli scantinati. «La gente è stanca, io sono stanco – continua don Moreno – da quando sono ricominciati i bombardamenti, non si dorme e questo pesa soprattutto sui bambini più piccoli. Il mantra è “andiamo avanti, non ci arrendiamo non cediamo il territorio” però vuol dire che aumenteranno i morti e che, mancando i soldati in grado di combattere, abbasseranno l’età di reclutamento che ora è fissata a 24 anni o compiranno altre scelte difficili».
E chi non si presenta in caserma o non adempie gli obblighi di leva, rischia grosso come sempre in tempi di guerra. E mentre a Kyiv si discute e si resiste, i russi avanzano inesorabili, palmo a palmo. La baldanzosa invasione, quasi una parata, dei primi giorni è solo un lontano ricordo e oggi ogni metro costa caro a entrambe le parti. «Noi continuiamo con il nostro servizio di assistenza ai bisognosi, ai profughi e agli sfollati – racconta il missionario – Tre volte la settimana diamo loro ciò che arriva dall’Italia, dai vestiti agli alimenti ai prodotti per l’igiene. Mia sorella ogni mese ci manda 25-30 scatoloni di vestiti che noi poi distribuiamo e, in passato, spedivamo anche a un parroco di Pokrovsk. Ora però sta per cadere in mano ai russi e non possiamo più farlo».
La città, poco più di 60 mila abitanti prima del conflitto, è largamente ridotta oggi a un cumulo di macerie popolato soprattutto da anziani e bisognosi ma rimane chiave nella difesa del Donetsk, l’oblast ucraino che la Russia cerca di occupare dall’inizio del conflitto. Se a oriente si combatte, i missionari orionini piantano semi di pace nel cuore della comunità ucraina, l’hanno fatto coinvolgendo nel grest decine di ragazzini e animando un vero oratorio. «Finché le condizioni ci permettono di rimanere, noi rimaniamo».