Tra “Frankenstein” e “Il cielo sopra Berlino”, con un omaggio al mondo musicale e videoludico anni ’80. È “Tron: Ares” nuovo film Disney che recupera il cult del 1982 con Jeff Bridges. Diretto dal norvegese Joachim Rønning, il film è un thriller-action che offre acute riflessioni sul rapporto umanità e mondo digitale, con un valzer di effetti speciali di grande impatto. Protagonisti Jared Leto, Greta Lee ed Evan Peters. Il film è nelle sale dal 9 ottobre. Uscirà invece giovedì 16 il dramma psicologico “After the Hunt. Dopo la caccia”, nuovo film “a stelle e strisce” di Luca Guadagnino, che punta su un cast hollywoodiano di primo piano, Julia Roberts in testa. Un giallo dell’anima che mette a tema, in una partita a scacchi tra verità e menzogna, il carrierismo nel mondo accademico, abusi e violenze, giustizia e reputazione, maschile e femminile. Un racconto serrato, indagatore, che pedina la protagonista, Alma Olsson, e le sue stanze interiori. Uno sguardo sofisticato e tagliente sull’America contemporanea, tra fratture e contraddizioni.
“Tron: Ares” (Cinema, dal 9 ottobre 2025)
Un film dalla forte carica innovativa, a livello stilistico e tematico, che però trova i riferimenti narrativi nel passato, al “Frankenstein” di Mary Shelly e al capolavoro di Wim Wenders “Il cielo sopra Berlino” (1987). Parliamo di “Tron: Ares”, film targato Walt Disney Studios diretto dal norvegese Joachim Rønning (suoi “Maleficent”, “La ragazza del mare”), che si ricollega al cult “Tron” del 1982 e al suo sequel “Tron: Legacy” del 2010. Un’opera confezionata come un riuscito action-thriller con suggestivi effetti speciali,
che conquista soprattutto per la riflessione tra uomo e mondo digitale, in particolare l’atto di disobbedienza della creatura tecnologica alla traiettoria malvagia impressa dal suo programmatore.
Con Jared Leto, anche in veste di produttore, il film vede nel cast Greta Lee, Evan Peters, Gillian Anderson e Jeff Bridges. Nelle sale italiane dal 9 ottobre 2025.
La storia. Stati Uniti, oggi. Julian Dillinger ed Eve Kim sono due influenti programmatori e ideatori di mondi videoludici, Ceo di due importanti compagnie, rispettivamente la Dillinger Corporation e la Encom. I due, con agguerrita competizione, stanno lavorando al modo per abbattere le distanze tra umanità e mondo digitale, alla generazione di creature tramite AI. Accecato dal potere e dal successo, Dillinger si spinge oltre i confini dell’etica, progettando una creatura prima in ambiente digitale, nel Grid, e spostandola poi in quello reale. Crea un super soldato: Ares. L’unico problema è che le sue funzioni durano solo 29 minuti. Dillinger vorrebbe trovare il modo per prolungare tale durata, manipolando dunque il confine vita-eternità. Il problema è che ci riesce prima Eve Kim; al contempo Ares, affascinato dalla vita umana, si ribella e inizia a sperare di poter ottenere una vita propria…
Affascinante e coinvolgente come un video-gioco, l’action-thriller “Tron: Ares” è un racconto che abita il nostro presente, entusiasmi e paure legati ai vorticosi passi avanti della tecnologia. Ci presenta un mondo che rischia di virare nell’incubo quando privo di regole e soprattutto di etica. Julian Dillinger incarna l’uomo disposto a tutto per conquistare fama, denaro e potere; per lui scienza e tecnologia sono praterie da percorrere senza regole e remore. Non c’è rispetto per il prossimo, non c’è timore per danni irreparabili; l’unica cosa che conta è una magnificazione del sé, del proprio ego. A lui si contrappone Eve Kim, dotata delle stesse qualità e potenzialità, che però decide di mettere a servizio del prossimo, per un bene condivisibile. Un orizzonte dove, appunto, umanità e tecnologia possono dialogare e coesistere.
Vero punto di forza del racconto è il personaggio di Ares, che Jared Leto tratteggia con intensità: un programma AI, una creatura digitale, che arriva però a maturare pensieri e coscienza propri, al punto da ribellarsi al suo spregiudicato creatore.
Ares rifiuta l’immortalità e sogna una vita piena, del tutto umana. Un po’ come Frankenstein, un po’ come Pinocchio, ma soprattutto come l’angelo Damiel di Wenders,
Ares fa di tutto per vivere davvero, fraternizzando in chiave solidale con Eve Kim e l’idea di un mondo migliore.
Un trionfo di effetti speciali, citazioni videoludiche e musicali anni ’80 (tra i brani “Just Can’t Get Enough” del 1981 dei Depeche Mode), “Tron: Ares” condensa azione ed evasione, thriller e approfondimento di senso, con una durata perfetta: 119 minuti, senza sbavature. Consigliabile, problematico, per dibattiti.
“After the Hunt. Dopo la caccia” (Cinema, dal 16 ottobre 2025)
A Luca Guadagnino va riconosciuta, oltre al talento stilistico con cui governa i suoi racconti, anche una vivace curiosità narrativa che lo porta a sposare progetti ogni volta diversi, giocati tra originalità e audacia. Dopo i recenti “Bones and All” (2022), “Challengers” (2024) e “Queer” (2024), arriva nei cinema con “After the Hunt. Dopo la caccia” – fuori Concorso all’82a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia (2025) –,
un dramma psicologico pronto a sconfinare nel thriller esistenziale che esplora verità e menzogna in ambito professionale, ma anche relazionale, tra amicizia, famiglia e legami affettivi.
Qual è la verità e il suo prezzo? Su copione di Nora Garrett, il film fa perno sulla diva hollywoodiana Julia Roberts, ben affiancata da Ayo Edebiri, Andrew Garfield, Michael Stuhlbarg e Chloë Sevigny. Prodotto da Amazon Mgm Studios, il film è nelle sale dal 16 ottobre con Eagle Pictures.
La storia. Stati Uniti oggi, Campus di Yale. Alma è una professoressa cinquantenne in carriera in attesa della cattedra stabile nel prestigioso ateneo; come collaboratori i brillanti Hank e Maggie, lui già ricercatore-docente e lei nel pieno della ricerca di Dottorato. Alma è solita invitarli a casa, nelle eleganti cene-dibattito letterario che organizza insieme al marito psicanalista Frederik. Il giorno dopo una serata trascorsa insieme, Maggie confessa ad Alma di essere stata aggredita e abusata da Hank. Alma è raggelata, manifesta turbamento ma anche sospetto; si chiede dove sia la verità. Temendo che la sua posizione accademica venga compromessa, Alma sulle prime esita poi offre credito alla testimonianza di Maggie, ben presto però la notizia diventa di dominio pubblico e l’ateneo avvia un’inchiesta…
“È un thriller – sottolinea il regista – che si interroga non su quale sia la verità dei fatti ma quante verità esistano in emerito a essi. E chi dovrebbe decidere cosa è giusto.
Il film esamina cosa comporta prendere decisioni etiche per noi stessi e per gli altri”.
“After the Hunt. Dopo la caccia” è un film stratificato, che esplora sì i tornanti della verità ma anche quelli dell’animo umano. Anzitutto segue la traiettoria di Alma, che Julia Roberts tratteggia con grande padronanza e mistero, una docente che da tempo attende la stabilizzazione nel prestigioso ateneo; a un passo dal traguardo subisce il contraccolpo di uno scandalo, quello che riguarda i suoi collaboratori. Vorrebbe essere di supporto, ma al contempo è assalita dall’ansia di essere “contaminata” da quelle accuse spinose. Sullo sfondo, poi, emerge dal suo passato qualcosa di rimosso, di non detto, un compromesso che ne mina la reputazione e la stabilità psicologica.
E poi c’è il tema dell’abuso, della denuncia, di una giovane donna, afroamericana e omosessuale, che punta il dito contro un suo superiore. Guadagnino costruisce abilmente il racconto, dipingendo Maggie sia come vittima sia come “manipolatrice”, che sembra usare tale “denuncia” per ottenere traguardi accademici che altrimenti non riuscirebbe a raggiungere.
Qual è dunque la verità? Abuso vergognoso o calunnia lucrosa?
Tema insidioso e scivoloso, soprattutto negli Stati Uniti, dove il dibattito è più polarizzato e divisivo, che l’autore affronta con astuzia e coraggio, spingendo lo spettatore a interrogarsi, a cercare di capire dove sta la verità.
“After the Hunt. Dopo la caccia” è un film che funziona per la regia di Guadagnino e per i suoi interpreti, soprattutto Julia Roberts. L’impianto del racconto è adeguatamente fumoso, enigmatico, sconta però alcune lungaggini e una durata eccessiva (139 minuti) che alla fine ne depotenzia l’impatto. Nell’insieme, un’opera che conferma versatilità e stile di un autore che si dimostra sempre più maturo a livello artistico e con una vocazione internazionale. Complesso, problematico, per dibattiti.