“L’etica per l’intelligenza artificiale (AI) è necessaria ma non basta. Anche un’algoretica che introduca dentro l’AI valori, criteri e principi che guidino l’operare della macchina – un’etica ‘cablata’ internamente sin dall’inizio – per quanto utile non sembra sufficiente”.
È quanto scrive a conclusione di un’ampia riflessione su Avvenire del 30 maggio il filosofo Vittorio Possenti. Recita il titolo della nota: “L’era dell’intelligenza artificiale richiede un’intelligenza spirituale”. Segue l’appello a “non perdere l’apertura del cuore di fronte alle nuove sfide tecnologiche”.
Tornano alla mente i numerosi interventi di papa Francesco sul rapporto tra etica e AI e i pensieri di papa Leone XIV nei primi interventi del pontificato.
Costante e comune l’invito a interessarsi di questi temi con serietà cristiana, una serietà competente che si colloca sul piano della speranza, dell’ascolto, a fronte di un’evidente complessità, della voce della verità che si rivolge alla coscienza.
Tra le righe il suggerimento di togliere la parola “etica” dal vocabolario della mondanità che appiattisce, svuota, semplifica. Citare frettolosamente questa parola apre al rischio di svuotarla di senso, di tagliare le radici che l’alimentano, di strumentalizzarla.
Scrive allora Vittorio Possenti: “Un’etica che non affondi le sue radici in un pensiero veritativo, infatti, va incontro a infinite cadute. L’etica non regge più di tanto quando non si nutre di verità ferme e metaetiche, ossia “metafisiche”.
La questione posta dal filosofo non corre sui social, non appare sui giornali, non è nei dibattiti radiotelevisivi che preferiscono narrazioni più leggere e redditizie.
“L’antropocentrismo – scrive Possenti – è salito ad un livello talmente elevato che l’essere umano ritiene la fede un ornamento superfluo di cui si può fare benissimo a meno. Di Dio non v’è più bisogno, ce tecnologia lo ha sostituito e in specie l’IA che mette da parte tanto la politica che la religione”.
Basta l’Intelligenza artificiale per raggiungere la felicità?
Il filosofo risponde che l’era dell’intelligenza artificiale, da vivere tenendo acceso il pensiero critico, richiede l’azione dell’intelligenza spirituale perché questa era non corra il rischio di diventare il tempo degli “schiavi felici”.
Non da oggi un impegnativo e a tratti inquietante dibattito si è aperto sulle sfide tecnologiche. Vale la pena seguirlo senza schierarsi sul fronte degli apocalittici oppure su quello degli integrati. Rimane da aggiungere che forse “a sua insaputa” l’AI sta ravvivando nelle coscienze la ricerca del senso ultimo della felicità e quindi della vita. Forse e “a sua insaputa” l’AI sta dicendo che è ancora accesa quella scintilla che consente di distinguere la verità dalla menzogna, il bene dal male.