“L’umanità grida e invoca la pace”. È un lungo appello che Papa Leone pronuncia all’Angelus in questa domenica in cui si fa memoria del Corpo e Sangue di Cristo. Nella notte italiana, il presidente americano Donald Trump ha reso noto di aver portato a termine l’attacco a tre siti nucleari iraniani, scatenando la reazione iraniana su Israele che minaccia altri interventi: “notizie allarmanti dal Medio Oriente” afferma il Papa che “in questo scenario drammatico” non dimentica la “sofferenza quotidiana della popolazione, specialmente a Gaza e negli altri territori, dove l’urgenza di un adeguato sostegno umanitario si fa sempre più pressante”.
È dall’inizio del suo Pontificato che chiede con forza la pace – una pace “disarmata e disarmante” come disse affacciandosi dalla loggia centrale della basilica vaticana – e questa non è un “momento di riposo tra una contesa e l’altra”, come disse ai rappresentanti del Corpo diplomatico accreditato in Vaticano. La pace, afferma Leone XIV all’Angelus, è “un grido che chiede responsabilità e ragione, e non dev’essere soffocato dal fragore delle armi e da parole retoriche che incitano al conflitto”. C’è una responsabilità morale che è propria di ogni membro della comunità internazionale: “fermare la tragedia della guerra, prima che essa diventi una voragine irreparabile”. Non esistono conflitti “lontani quando la dignità umana è in gioco” e la guerra “non risolve i problemi” piuttosto “li amplifica” ferite profonde che i popoli impiegano generazioni per rimarginarle. E nessuna vittoria armata “potrà compensare il dolore delle madri, la paura dei bambini, il futuro rubato”.
Il Papa si appella alla diplomazia perché “faccia tacere le armi” e le Nazioni “traccino il loro futuro con opere di pace, non con la violenza e conflitti sanguinosi”.
Appello nel giorno in cui si celebra il Corpus Domini, e la comunione con il corpo di Cristo per Benedetto XVI è “il farmaco dell’intelligenza e della volontà per ritrovare il gusto della verità e del bene comune”; per Papa Francesco è “memoriale che guarisce la nostra memoria” e accende il desiderio di servire fino a creare “catene di solidarietà” con chi ha fame, non ha lavoro o è povero. Senza memoria, diceva Bergoglio, “diventiamo estranei a noi stessi, ‘passanti’ dell’esistenza; senza memoria ci sradichiamo dal terreno che ci nutre e ci lasciamo portare via come foglie dal vento”.
Ma torniamo al Vangelo di Luca, la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Papa Leone afferma che il miracolo “è un segno che ci ricorda che i dini di Dio, anche i più piccoli, crescono tanto più quanto più sono condivisi”; di più ci deve far riflettere sul fatto che “alla radice di ogni condivisione umana ce n’è una più grande, che la precede: quella di Dio nei nostri confronti”.
Interessante notare che Gesù prima di far portare alla gente il pane e i pesci – cinquemila presenti scrive Luca nel Vangelo – dona la sua parola; come dire, c’è un rapporto profondo tra parola e gesto che troviamo nella celebrazione dell’eucaristia, ma è anche il modo attraverso il quale Dio si manifesta nella storia della salvezza, come si legge nella Costituzione dogmatica del Concilio, la Dei verbum. Il dono del cibo e della parola.
Il vescovo di Roma torna sul concetto del dono ricordando che il Creatore “per salvarci ha chiesto a una sua creatura di essergli madre”, condividendo così “la nostra povertà, scegliendo di servirsi, per riscattarci, proprio del poco che noi potevamo offrirgli”.
È bello vedere che anche il piccolo dono che facciamo è apprezzato da chi lo riceve, afferma ancora il Papa, e quel dono “ci unisce ancor di più a quelli che amiamo”. Questo, dice Leone XIV, è quanto avviene nell’eucaristia: “Dio si unisce a noi accogliendo con gioia ciò che portiamo e ci invita ad unirci a Lui ricevendo e condividendo con altrettanta gioia il suo dono d’amore. In questo modo – afferma il vescovo di Roma citando le parole di Sant’Agostino – come “dai chicchi di grano, radunati insieme […] si forma un unico pane, così nella concordia della carità si forma un unico corpo di Cristo”.