“Se davvero volessimo dare un segnale forte, avrebbe senso portare un milione di persone in Ucraina, magari a Kharkiv, a Kherson, sulle linee del fronte. Per dire: Siamo con voi, non vi abbiamo dimenticato, chiediamo con voi la fine dell’aggressione”. A parlare è Angelo Moretti, presidente ed animatore del “Mean”, Movimento Europeo di Azione Nonviolenta, al termine della quattordicesima missione del Mean, in Ucraina. Un’iniziativa che ha coinvolto 110 attivisti italiani di 35 associazioni tra cui Azione Cattolica, Acli, ANCI, MoVI, MASCI, AGESCI, Base Italia, Fondazione Gariwo, Piccoli Comuni del Welcome, Reti della Carità, Progetto Sud, Ordine Francescano Secolare. E si è conclusa con un pesantissimo bombardamento sulla città di Leopoli avvenuto proprio mentre il treno con a bordo gli attivisti italiani, era fermo in città.
Moretti, come è andata?
Siamo partiti con il desiderio di testimoniare al popolo ucraino che l’Europa è vicina e non lo è solo con le armi, i finanziamenti o le parole, ma con la presenza fisica, con la volontà di vedere con i propri occhi ciò che accade in questo Paese.
Hanno visitato Kharkiv in un periodo in cui in quella città a pochi chilometri dal fronte non va più nessuno, nemmeno gli stessi ucraini. Noi abbiamo deciso di esserci. Siamo stati mossi da un sentimento profondo di vicinanza e amicizia. E non è poco. L’amicizia con un popolo in guerra sembrerebbe quasi impossibile da realizzare, eppure per loro significa speranza.
Che messaggio avete portato?
Nessuno di noi ha risposte pronte per porre fine alla guerra. E la società civile che ci ha accolto lo ha fatto sapendo che non avevamo soluzioni definitive, ma ha dato valore alla nostra presenza. Essere lì, stringere amicizie, discutere insieme anche sul futuro di questo Paese, significa dimostrare che non è vero che Putin ha il controllo dell’Ucraina. Gli ucraini decidono il loro destino, resistendo. E gli europei, andando lì, dicono che in questa impresa non sono soli. Questo è un messaggio potente. In soli due giorni dalla fine della missione, sono stato sommerso di idee e iniziative: proposte di gemellaggi che già coinvolgono 15 comuni, aiuti alle imprese, richieste di adozione dell’orchestra filarmonica di Kharkiv.
Tutto ciò che abbiamo seminato nell’amicizia, sta già germogliando.
Di fatto, avete ricevuto grande attenzione mediatica per l’attacco al treno a Leopoli. Purtroppo, la questione ucraina tende sempre più a scivolare via dalle prime pagine dei giornali. Come si può fare per mantenere alta l’attenzione?
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Il punto è che oggi si cerca lo scoop. E sui media ci siamo andati solo per aver vissuto per un’ora quello che gli ucraini vivono sempre, ogni notte, da quasi 4 anni.
Ma prima di arrivare con il treno a Leopoli, abbiamo vissuto giornate intere, immersi nella realtà ucraina. Eppure, non ha fatto rumore. Perché l’amicizia silenziosa, gli spazi di preghiera e riflessione non fanno notizia, non riescono ad avere risonanza mediatica. È un po’ come accadeva nelle manifestazioni antimafia, quando il popolo che rispondeva alle minacce, diceva: “se lo fate a loro, fatelo anche a noi”. Non avevamo previsto di trovarci in quelle condizioni, ma abbiamo sempre detto: se l’Ucraina è sotto attacco, lo siamo tutti.
E adesso che avete la possibilità di farvi sentire, che cosa chiedete?
La nostra richiesta, chiara e insistente, è che l’Europa si doti finalmente di uno strumento civile per la pace. Perché non bastano le armi, non basta la politica. Ce lo ha detto anche il nunzio apostolico di Kyiv, mons. Visvaldas Kulbokas: per risolvere il problema della guerra, la società civile deve essere coinvolta. E la nostra richiesta al ministro Tajani, che ci ha seguito e protetto nel nostro rientro, è precisa e urgente: che porti all’ordine del giorno del Consiglio dell’Unione Europea l’istituzione dei Corpi Civili di Pace. Se ne parla dal 1995: sono passati trent’anni e ancora la proposta non vede la luce. Noi ci stiamo preparando da anni a essere pacificatori europei.
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Da trent’anni lavoriamo su scambi culturali, difesa dei diritti, tutela delle minoranze. Se serve organizzare un corpo civile europeo per la pace, noi siamo già pronti.
Sarete capaci di portare anche voi un milione di gente in piazza per la fine della guerra in Ucraina?
La domanda è legittima. Ma credo sia importante fare una distinzione. L’Europa è schierata al fianco dell’Ucraina. Anche quando gli Stati Uniti hanno mostrato segnali di disimpegno, l’Europa ha mantenuto una volontà politica forte. Tuttavia, manca ancora una mobilitazione chiara della società civile europea. Ecco perché una manifestazione in piazza, in questo caso, non avrebbe lo stesso impatto. Una piazza per l’Ucraina dovrebbe essere rivolta verso la società civile stessa, per risvegliare la coscienza europea, costruire ponti, chiedere strumenti civili per la pace. Se davvero volessimo dare un segnale forte, avrebbe senso portare un milione di persone in Ucraina, magari a Kharkiv, a Kherson, sulle linee del fronte.
Per dire: “Siamo con voi, non vi abbiamo dimenticato, chiediamo con voi la fine dell’aggressione”.