Skip to content
  • Edizione Digitale
  • Abbonati
logo
  • Ultimi Articoli
  • Sezioni
    • Chiesa
    • Idee
    • Fatti
    • Mosaico
    • Storie
  • Rubriche
  • Speciali
  • Mappe
  • EVENTI
  • Scrivici
  • Edizione Digitale
  • Abbonati
Area riservata

Mappe IconMappe | Mappe 15 – Settore moda – maggio 2023

mercoledì 17 Maggio 2023

Un mondo di tessuti intrecciati. Una pausa alla moda veloce

Il ruolo che noi consumatori e produttori possiamo avere per imporre all’industria della moda il rispetto di tematiche etiche e green

Giovanni Sgobba
Giovanni Sgobba
redattore

Proprio mentre costruivamo queste pagine di Mappe, nell’indirizzo e-mail personale di chi scrive, Ovs attraverso la sua newsletter ha presentato il suo nuovo progetto Re-up. Ovs, che sta per Organizzazione vendite speciali, è una società di abbigliamento per uomo, donna e bambino con oltre 7 mila dipendenti e un fatturato annuo che supera il miliardo e mezzo di euro; è ormai internazionale, ma fonda le sue origini in Veneto: la sede principale è a Venezia, mentre il primo negozio aprì i battenti nel 1972 a Padova. Dopo che nel 2007 emerse un rapporto d’affari tra l’azienda e la giunta militare della Birmania, Ovs ha puntato molto nel trasmettere valori etici e sociali, incentrando le sue campagne sulla trasparenza, sulla sostenibilità e sull’eco valore. Re-up, la nuova collezione d’abbigliamento, si inserisce in questo filone: al centro c’è il concetto di upcycling, ossia il recupero creativo di prodotti già indossati ma non più utilizzati che vengono ripensati e trasformati per dare vita a qualcosa di nuovo e unico. Contro la logica consumistica e degli sprechi, con un gusto anche estetico, jeans, magliette, pantaloni trovano nuova vita con spruzzi di vernici colorate (anch’esse provenienti da scarti tessili) eseguiti a mano dai ragazzi di Valemour, un generatore di impresa di San Giovanni Lupatoto, nel Veronese, che nasce per favorire l’inserimento lavorativo di giovani con disabilità intellettiva. “Il futuro non è nuovo”, il claim della campagna, sembrerebbe anacronistico, ma è un invito a costruire e pensare a una nuova era della moda e dell’abbigliamento non più bulimica e bramosa costantemente di nuovi indumenti. Scendere dal treno frenetico della fast fashion, la moda veloce, è l’imperativo coscienzioso di utenti, soprattutto giovani, e aziende, anche loro amministrate da nuove generazioni, che si oppongono a una filiera fatta di vestiti prodotti con materiale scadente, dannosi per l’uomo e per l’ambiente, cuciti da manodopera pagata (se pagata) con stipendi da fame, che finiscono presto nella pattumiera alimentando la cultura dello spreco e dell’inquinamento ambientale. Un paio di dati: ci vogliono 20 mila litri d’acqua per produrre un chilo di cotone, 2.700 litri d’acqua per una singola maglietta. La cultura dell’usa e getta ha preso piede nel corso degli anni e oggi molti capi vengono indossati solo dalle sette alle dieci volte prima di essere buttati via. Si tratta di un calo di oltre il 35 per cento in soli 15 anni.Dei 100 miliardi di capi di abbigliamento prodotti ogni anno, 92 milioni di tonnellate finiscono in discarica. E le discariche si chiamano o Ghana o deserto dell’Atacama in Cile, dove camion con consensi politici scaricano ogni giorno ammassi di abiti e rifiuti che ciclicamente vengono incendiati in roghi con l’intento di “guadagnare” spazio, producendo così fumi tossici e sostanze inquinanti vista la presenza di microplastiche e fibre sintetiche.

Il New York Times utilizzò il termine fast fashion per la prima volta nel 1989, quando Zara, negozio spagnolo tra i principali responsabili di questa tendenza, aprì un negozio a New York: secondo l’articolo bastavano 15 giorni perché un capo di abbigliamento di Zara passasse dalla mente creativa di uno stilista alla vendita diretta. La fast fashion è considerata un processo di democratizzazione della moda che ha permesso a tutti di vestirsi bene seguendo le ultime tendenze. Tuttavia, i ritmi di produzione di queste aziende sono sostenibili solo producendo in Paesi dove il costo del lavoro è basso e dov’è quindi facile che i lavoratori siano sfruttati. Il punto di non ritorno, o meglio, quello che avrebbe dovuto essere per tutti l’ammissione di una responsabilità mondiale è stato il crollo del Rana Plaza, un complesso industriale in un sobborgo industriale di Dacca, capitale del Bangladesh, avvenuto esattamente dieci anni fa, il 23 aprile 2013. L’edificio di otto piani ospitava cinque produttori di abbigliamento, che lavoravano per conto di noti marchi, tra cui Primark, Walmart e l’italiana Benetton: 1.134 persone, soprattutto giovani lavoratrici, hanno perso la vita nel disastro, oltre 2.500 i feriti. Fu uno spartiacque, non solo per la responsabilità confermata dei grandi gruppi e per i risarcimenti: da quel momento, più di 200 marchi hanno firmato un accordo legalmente vincolante con i sindacati per indagare e affrontare le pericolose condizioni delle fabbriche in Bangladesh, poi esteso anche per il Pakistan. Tutto questo non è distante da noi, tutto questo si alimenta in base alle nostre scelte quotidiane, sia come produttori sia come consumatori. E il Veneto gioca una parte fondamentale con i suoi settori di sartoria, calzaturificio, tessile e abbigliamento che valgono 18 miliardi di euro di fatturato annuo, il 18 per cento del fatturato nazionale, e che generano 9 miliardi di euro all’anno di export, il secondo settore più trainante dell’economia regionale. Le griffe mondiali qui hanno messo le tende e fatto investimenti, dando al futuro un nuovo vestito da indossare. Etico, sostenibile, di tradizione e dignità.

Ultimi articoli della categoria

Carceri sovraffollate: un problema italiano

martedì 12 Novembre 2024

Carceri sovraffollate: un problema italiano

Consumo di suolo. Un futuro grigio

martedì 12 Novembre 2024

Consumo di suolo. Un futuro grigio

Connessi con la realtà. Padova fa progressi nel digitale e nella cultura

martedì 12 Novembre 2024

Connessi con la realtà. Padova fa progressi nel digitale e nella cultura

Agenda 2030, quale futuro? Noi possiamo ancora agire

martedì 12 Novembre 2024

Agenda 2030, quale futuro? Noi possiamo ancora agire

Cambiamenti climatici e sociali. Uno sviluppo insostenibile

martedì 12 Novembre 2024

Cambiamenti climatici e sociali. Uno sviluppo insostenibile

Energia pulita. Rinnovabili, insistiamo

martedì 12 Novembre 2024

Energia pulita. Rinnovabili, insistiamo

Condividi su
Link copiato negli appunti
Logo La Difesa del Popolo
  • Chi siamo
  • Privacy
  • Amministrazione trasparente
  • Scrivici

La Difesa srl - P.iva 05125420280
La Difesa del Popolo percepisce i contributi pubblici all'editoria.
La Difesa del Popolo, tramite la Fisc (Federazione Italiana Settimanali Cattolici) ha aderito allo IAP (Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria) accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.
La Difesa del Popolo è una testata registrata presso il Tribunale di Padova decreto del 15 giugno 1950 al n. 37 del registro periodici.