Mosaico
Un pescatore che apre le strade del Signore. San Pietro nella letteratura
La modernità è anche questa: Simon Pietro è visto come uomo in carne ed ossa
MosaicoLa modernità è anche questa: Simon Pietro è visto come uomo in carne ed ossa
“Quando sul lago ci trovammo nel pieno della tempesta e noi eravamo terrorizzati, Cristo non ci ha lasciato soli. Perché io, suo discepolo, non dovrei imitare il maestro?”
Sono le parole di Pietro che nel celebre romanzo “Quo vadis?” di Henryk Sienkiewicz è ai conti finali con la Roma di Nerone, una città -e una civiltà- all’inizio della propria decadenza, in cui solo la nuova Parola rappresenta un segno di rinascita nell’amore e nella carità. È questo un personaggio che deve molto alla “Legenda Aurea” del domenicano Jacopo da Varazze (siamo nel XIII secolo), dove viene narrato proprio l’episodio di Pietro che si lascia convincere a fuggire da Roma durante la persecuzione di Nerone. Mentre sta per lasciare la città, ecco che incontra Gesù, che gli dice di star andando, al contrario di Pietro, a farsi crocifiggere una seconda volta. Al che l’apostolo decide di tornare indietro e di accettare il proprio destino di testimone fino in fondo della Parola, con quell’atto finale di umiltà nel chiedere di farsi crocifiggere a testa in giù, perché non si sentiva degno di imitare Gesù neanche in quella atroce morte.
Il primo pontefice assume nelle narrazioni della letteratura moderna ( “Quo vadis?” è stato scritto alla fine dell’Ottocento) la dimensione della fedeltà nonostante tutto, una fedeltà non legata ad una obbedienza dogmatica, ma all’aver vissuto in prima persona l’esperienza dell’amore fraterno e della speranza in un senso altro che non quello della soddisfazione materiale.
Non è solo un pescatore illetterato, ma è un uomo che ha fatto, fa e continuerà a fare, la Chiesa, e però anche l’arte e la letteratura. Un po’ come il Cantico di Francesco d’Assisi, san Pietro è la dimostrazione reale della geniale veridicità del passo di Matteo in cui si parla della petra scartata che diviene testata d’angolo. Pietro è prosecutore del messaggio di Cristo. E protagonista dell’arte e della letteratura.
È questo il personaggio narrato dagli scrittori, anche quelli o non credenti o dilaniati dal dubbio, come Baudelaire, che, sembrerà strano, nei suoi celebri “Fiori del male”, in quel suo cammino tra peccato e ricerca di una (im)possibile luce che lo guidi, dedica una poesia al “Rinnegamento di San Pietro” in cui quell’episodio evangelico viene visto dalla parte umana, troppo umana avrebbe detto Nietzsche, giustificando la paura di un uomo che, come tutti gli uomini, ha paura della tortura e della morte.
Quello di Baudelaire è un Pietro più uomo che fedele seguace di quella che nella laica Francia delle rivoluzioni e delle rivolte contro qualsiasi forma di potere, era vista come una superstizione.
La modernità è anche questa: Simon Pietro è visto come uomo in carne ed ossa.
Per Dante, uno dei maestri di tutto ciò che avverrà poi, invece è trasfigurato in un’entità ormai parte della perfezione celeste. L’antico pescatore analfabeta ora è divenuto parte fondamentale del terzo regno, ed è lui a interrogare Dante. L’antico illetterato nel XXIV canto del Paradiso diviene il magister portatore di una verità che non è piatta e inutile cultura fine a se stessa, ma reale essenza di ogni cosa. Tant’è vero che la sua domanda non è solo e tanto dottrinale, ma raccoglie il senso di ogni cosa: “fede che è?”.
Non solo dottrina, perché Pietro appare a Dante acceso da una forza ardente di carità, perciò di un amore capace di fondere l’umano con il divino.