Idee
Il Pascoli che appare nel film di Giuseppe Piccioni, “Zvanì” è l’uomo, e il poeta, del passato: un passato doloroso che tende la sua ombra sul suo oggi. Maturando una concezione del mondo che viene sia dalla sua dolorosa esperienza, sia dagli studi carducciani, dalla cultura del tempo, con quel lento passaggio tra materialismo razionalista e irrazionalismo estetizzante. Una cultura che subiva il fascino di un filosofo, Schopenhauer, che vedeva nell’amore e nel matrimonio una sorta di specchio per le allodole creato dalla natura per riprodursi.
Ma Pascoli era nel contempo molto attirato dalle testimonianze di fede dei cristiani durante le persecuzioni. Quando, nonostante il pericolo, la fede era anche concreta condivisione con l’altro, come Pascoli immagina nei suoi “Poemi cristiani”: durante l’incendio del 64, quello che costerà la vita a molti seguaci di Cristo, accusati di esserne i responsabili, ragazze cristiane e prostitute fuggono sulla collina, e qui avviene l’atto rivelatore: “Ormai la folla promiscua, quella dell’agape segreta e quella del postribolo aperto, aveva raggiunta la cima del colle. (….) C’era una luce di focolare: Antusa (la cristiana) vicina vicina a Licisca (la prostituta) copriva della sua veste verginale la sorella ignuda”. L’amore gratuito, e per di più pericoloso, dei cristiani sconvolge e affascina un uomo che nei meccanismi brutali, primordiali dello scambio e del possesso aveva visto il motore del tutto.
Come appare anche nel film, il giovane Zvanì vede la causa motrice dell’assassinio del padre negli interessi materiali. E inizia, alla luce delle sue letture di Schopenhauer, ma anche di Marx, e con la conoscenza di Andrea Costa e quindi di un socialismo che si stava lentamente staccando dall’anarchia, un cammino tra l’estremismo politico e il pessimismo radicale.
Dopo l’abbandono delle utopie politiche, solo l’affetto per le sorelle può compensare il dolore del mondo, che rischia di essere rimesso in circolo dall’unione matrimoniale in una eterna infinita ripetizione dell’uguale che rimanda all’altro grande filosofo di quegli anni, Nietzsche.
E però Pascoli, come abbiamo visto, continuava la sua ricerca di senso. Se da una parte vedeva nella fede di alcuni una sorta di convinzione tolemaica di contro all’affermazione del pensiero di Copernico e Galilei, dall’altra era affascinato dall’umiltà illuminante di un suo amico francescano, padre Teodosio, che all’obiezione del poeta riguardante l’impossibilità che solo la Terra fosse abitata e che quindi il Dio cristiano fosse una illusione rispondeva: “Non lo dice nel Vangelo che ha lasciato le 99 pecorelle per la centesima smarrita?”. Era lecito immaginare che un Dio di bontà avesse scelto il più remoto e umile dei pianeti per donare la vita. E non mancavano altre frequentazioni, come quella del barnabita padre Semeria, e un’infinità di testi che ci mostrano un uomo alla ricerca del Senso ultimo.
I lutti che si sono susseguiti nella sua vita (il padre, poi la morte della mamma, quella prematura di alcuni fratelli e di due sorelle) avevano causato la lenta affermazione di un pessimismo sul senso del mondo. Solo il cristianesimo era in grado di superare quel baratro con l’immagine di un Cristo che predica amore, e muore per amore. e per gli ultimi.
Il sogno di Pascoli era infatti quello di una nuova civiltà in cui non ci fosse l’escluso a guardare fuori dal giardino ben curato del fortunato e a mendicare il tozzo di pane.
Anche questo ci dice quanto sia impossibile mettere un’etichetta sulla schiena di qualsiasi persona, figuriamoci un grande poeta che aveva incontrato il dolore del mondo.