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Un sacro dire di sì nell’arte. La mostra personale di Giancarlo Frison
La personale di Giancarlo Frison è aperta fino al 13 ottobre in oratorio San Rocco a Padova. La sua “poetica” è maturata all’ombra del monastero di Praglia
MosaicoLa personale di Giancarlo Frison è aperta fino al 13 ottobre in oratorio San Rocco a Padova. La sua “poetica” è maturata all’ombra del monastero di Praglia
Dire no è sottrarsi alle richieste, alle sollecitazioni, chiudersi; dire sì vuol dire accettare, accogliere, abbandonarsi con confidente coraggio. Per lo scultore Giancarlo Frison quel “Sacro dire di sì” che dà il titolo alla personale aperta in oratorio San Rocco a Padova fino al 13 ottobre è tutto questo, ma con la maiuscola. «Nella mia vita – dichiara – anche artistica cerco di darmi totalmente alla Provvidenza, che mi sostiene e mi fa galleggiare in un senso totale di protezione. Il Signore mi guarda e mi dà quello di cui ho bisogno nell’incontro con gli altri, i loro bisogni». Una “poetica” che l’artista ha maturato all’ombra del monastero di Praglia, dove è nato e cresciuto, nella lettura della Bibbia che la mamma gli raccontava, la frequentazione dei sacramenti, l’esercizio del ministero di catechista, in parrocchia, vicariato, diocesi. «Ho imparato – aggiunge – a entrare in sintonia con il cammino di fede dentro il mondo, le cose». Anche il percorso espressivo entra in tale dimensione: perfino la scoperta della sua vocazione è avvenuta “per caso” quando un superiore nel periodo di “probandato” a Praglia l’ha visto modellare un drago con la sabbia e l’ha orientato verso quell’innata capacità di modellare. Prima la creta, poi altri materiali più esigenti: bronzo, marmo, legno, vetro, vetroresina. Prima il figurativo, poi superato e infine riconquistato. Senza accompagnamenti accademici, ma cercando e accogliendo le sollecitazioni della laurea in Lettere, indirizzo Arte contemporanea, incontrando, all’inizio, Manzù e Pomodoro. Negli anni Ottanta si è accostato all’astrattismo, cercando nelle forme più semplici e comuni le formule con cui esplorare e decifrare i semi sorprendenti del mistero. In questo periodo ha collaborato con la Gregoriana editrice della Diocesi per alcune suggestive copertine nella serie “Dialoghi dell’agorà” e in altre. La mostra padovana, curata da Paolo Pavan, dà spazio all’ultimo ampio periodo dell’artista che, come spiega il curatore, usa il figurativo su livelli diversi della percezione, ma sempre nel rimando a un’arte che educa al bello e al buono «dove s’incontrano i grandi temi della natura, della ricerca spirituale e dei piccoli accadimenti della quotidianità, riportati in un programmatico disegno valoriale». Le opere, ancora per Pavan, si compongono in diversi cicli: alcune rimandano in modo palese al mondo del sacro (come la Via crucis della chiesa di San Benedetto alle Selve a Teolo), altre al fenomenico della natura o al lavoro della campagna in descrittivo, altre ancora al simbolico e alle geometrie topologiche. Il tutto trattato con una leggerezza sognante capace di liberare l’immaginario dell’osservatore, parlando agli occhi dei semplici e dei dotti.