Idee
La prima volta è accaduto in ambito medico, la seconda in una conferenza sul turismo. In entrambi i casi si rifletteva sull’impatto dei sistemi di intelligenza artificiale nel mondo del lavoro: tema quanto mai urgente e complesso. Il ragionamento era sostanzialmente il medesimo e la coincidenza mi ha fatto riflettere.
Il punto di partenza è di ordine tecnologico: l’intelligenza artificiale è capace di analizzare dati e suggerire soluzioni spesso in modo molto più veloce ed efficace delle persone umane. La diagnostica è uno dei campi in cui l’IA è già molto utilizzata in medicina e chi è abituato a viaggiare, ad esempio, sa già come questi sistemi abbiamo facilitato molte ricerche e burocrazie. L’esito di questa implementazione è duplice: una maggior efficacia nell’erogazione di alcuni servizi (suggerimenti diagnostici o turistici) e il liberarsi del tempo dei professionisti coinvolti (medici o receptionist d’albergo).
Esattamente a questo punto si apre una questione decisiva e un’opportunità da non sprecare.
Se la tecnologia, come sempre è successo, libera l’uomo di lavori faticosi (in passato) o ripetitivi e difficili (oggi e domani), cosa facciamo di questo tempo professionale che si libera?
Qualcuno, recentemente anche Elon Musk, vagheggia un mondo in cui gli umani non dovranno lavorare più, grazie alle macchine che li sostituiranno in ogni attività. Considero questo scenario una maledizione, perché perverte il significato più autentico dell’esperienza lavorativa vissuta secondo giustizia: non un’attività alienante da evitare e ridurre il più possibile a favore di altre dimensioni umane, ma uno dei modi con cui abitiamo il mondo, dandogli forma e senso, contribuendo – dice la Scrittura – all’opera creatrice di Dio.
Forse però si può pensare uno scenario diverso. Oggi tutti ci lamentiamo per i medici estremamente frettolosi che neanche distolgono lo sguardo dallo schermo durante una visita. Se una tecnologia affidabile e veloce evitasse loro di perdersi in lungaggini burocratiche o infiniti percorsi diagnostici, questi professionisti potrebbero dedicare il tempo della visita a un ascolto più pacato, a un’attenzione squisitamente umana al loro paziente e alle sue storie, anche al suo corpo. Lo stesso vale per il portiere dell’albergo che, liberato da affannose ricerche per soddisfare le richieste più strane dei clienti, potrebbe consegnare quanto l’IA gli serve quasi istantaneamente insieme alla sua storia, al racconto della ricetta di sua nonna, della tradizione familiare che c’è dietro un luogo. Ascolto e esperienze personali: quanto di più desiderato e prezioso oggi si continua a ricercare. Prodotti squisitamente umani.
In realtà c’è un terzo scenario: se possiamo dimezzare i tempi di una visita medica o di un consiglio turistico, possiamo di conseguenza raddoppiare le prestazioni offerte mantenendo invariati i costi. O dimezzare i professionisti tagliando le spese. Questi scenari sono frutto di un approccio esclusivamente economico e efficientistico, almeno a breve termine. Forse ci può essere una situazione di emergenza che può giustificarlo per un breve periodo. Questo criterio solo è però impoverente: istantaneamente in termini umani, socialmente nei tempi medi in cui si costruisce e struttura il legame tra le persone.
Qui si gioca la vera partita. Invece di lamentarsi sguaiatamente su tutti gli infiniti pericoli che l’IA può portare, dobbiamo riflettere e confrontarci su come vogliamo utilizzare questa incredibile opportunità che ci è offerta. Perché l’IA, se pensata, implementata e usata bene, può aprire significativi spazi di umanità. Può generare spazi di ascolto e attenzione, può favorire l’emergere e la condivisione di esperienze più autentiche e radicate in storie e territori.
La scelta vera non è tra IA si o no, libera o regolamentata, bensì tra una società costruita sulle persone e i loro legami e una fondata su logiche asettiche esclusivamente economiche ed efficientistiche. Dirigere il dibattito sulla questione vera è la partita decisiva di questo tempo.