Idee
Una mediazione senza armi. Parla Lisa Clark
«Attendo il momento in cui papa Francesco annuncerà il suo viaggio a Kiev. Sarò la prima a unirmi»
Idee«Attendo il momento in cui papa Francesco annuncerà il suo viaggio a Kiev. Sarò la prima a unirmi»
«Io rifiuto la guerra e per me la resistenza non passa attraverso l’uso delle armi, passa attraverso l’impegno a non produrle, a non distribuirle e a cercare di impedire che si continui a usarle. Rifiutare la guerra significa in primo luogo non alimentare l’uso delle armi». È da questo punto di partenza chiaro che Lisa Clark avvia la riflessione sulla situazione attuale, vestendo i panni di co-presidente dell’International peace bureau, associazione fondata nel 1891 e premio Nobel per la pace nel 1910, e di rappresentante italiana di Ican, la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, Nobel per la pace 2017. «Da parte mia non c’è nessun giudizio, tantomeno di tipo morale, contro chi oggi tra gli ucraini abbraccia le armi per difendersi e resistere. Ma io, da fuori, non voglio contribuire perché credo che la diffusione delle armi non possa portare a nessuna soluzione duratura». La pacifista attiva a Padova nell’associazione Beati i costruttori di pace sottolinea come la scelta italiana di inviare supporto militare in Ucraina sia stata una scelta miope, che ha precluso altre opzioni.
«Se il nostro Paese avesse scelto di non contribuire a inviare armi avrebbe potuto esercitare un ruolo importante di mediazione verso i negoziati – è il pensiero di Lisa Clark – L’Italia ha una lunga storia di interventi di mediazione per mettere le parti attorno a un tavolo nella ricerca di un compromesso che parta dal cessate il fuoco. Una volta che si mandano le armi non si può più aspirare a quel ruolo di mediazione come Stati. Ma noi società civile sì, possiamo svolgere quel ruolo. Aspetto il momento in cui papa Francesco annuncia “Vado a Kiev!”. Sarò la prima a unirmi a lui dimostrando con la presenza fisica la mia solidarietà al popolo ucraino attraverso l’importanza della vicinanza». La forte convinzione di Lisa Clark è che l’unica soluzione dei conflitti sia la fine dell’uso delle armi perché «la soluzione militare semplicemente non esiste».
E lo afferma in modo perentorio per quello che la storia passata ha già dimostrato: «Ho iniziato il mio impegno a favore della pace con la guerra di Bosnia e anche in quella situazione le bombe non hanno portato a una vera pace. Ogni prosecuzione di conflitto porta con sé rivalse, desiderio di vendetta, voglia di vendicare “i propri morti”. Le armi non sono mai la soluzione, anche se ci tengo a ribadire che non ho alcuna lezione morale da impartire a chi in Ucraina oggi usa le armi per resistere». Grande è la preoccupazione che la Clark esprime per il riferimento sempre più frequente al possibile uso di armi nucleari. «Nella mia memoria di persona impegnata per la pace è la prima volta che trovo si faccia riferimento così esplicito alle armi nucleari. Bisogna ricordare che nel diritto internazionale la minaccia dell’uso di un’arma è un crimine equiparato all’uso della stessa. Il solo fatto che se ne alluda è la dimostrazione della giustezza della battaglia per la messa al bando di tutte le armi nucleari in tutto il mondo. L’unica strada possibile è l’universalizzazione del Trattato di proibizione delle armi nucleari».
L’Ucraina, per poco tempo dopo la fine dell’Unione Sovietica, fu una delle più grandi potenze nucleari. Questo suo ruolo e questa sua situazione terminarono nel 1994 con il Memorandum di Budapest: l’Ucraina acconsentì a disfarsi delle armi nucleari in cambio della garanzia che i suoi confini sarebbero stati sempre rispettati, tanto dalla Russia quanto dai Paesi occidentali.
Il Trattato di proibizione delle armi nucleari, entrato in vigore a gennaio 2021 non è ancora stato sottoscritto dall’Italia nonostante si siano succeduti più governi. «A inizio estate organizzeremo la prima conferenza per fare il punto sul trattato che proibisce le armi nucleari e chiederemo al Governo italiano di parteciparvi» spiega Elisa Clark. Una speranza che rischia di andare delusa visto il voto del 16 marzo a larga maggioranza della Camera dei Deputati – 391 favorevoli e 19 contrari – per chiedere l’aumento delle spese militari. Una decisione apertamente criticata da don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, che durante la manifestazione del 21 marzo l’ha definita «una scelta antistorica, immorale nonché scriteriata, in tempo di crisi economica. Un bagno di sangue economico per l’incapacità di dire basta ai bagni di sangue umani».