Si celebra questa domenica, nella festa dell’Ascensione, la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. La volle Paolo VI nel 1967 definendola «un pensoso richiamo a un risveglio salutare delle coscienze e a un impegno di tutti» rispetto ai mezzi di comunicazione che la Chiesa, con lungimiranza profetica, già in quegli anni lontani, volle definire “sociali” e non, come al tempo era comune dire, “di massa”. Esistevano allora in Italia due soli canali televisivi (in bianco e nero); la radio era esclusivo monopolio dello Stato; la stampa la faceva da padrona. La parola “digitale” era utilizzata solo nelle questure in riferimento alle impronte prese ai delinquenti o in farmacia, per indicare alcuni preparati atti a curare lievi insufficienze cardiache. Mentre psicologi e sociologi parlavano di “comunicazione di massa”, riferendosi a ciò che nei paesi anglosassoni si definisce dinamica one to many (un unico emittente che si rivolge ad una folla indistinta e innumerevole di riceventi) e si preoccupavano soprattutto della forza persuasiva – più o meno occulta – di tale forma di comunicazione, la Chiesa sceglieva di parlare di “comunicazione sociale”, manifestando così la propria convinzione che ogni atto comunicativo deve servire sempre a costruire legami prima ancora che a veicolare messaggi. Quasi sessant’anni dopo, quella scelta lessicale si rivela più che mai azzeccata. Viviamo nell’era di internet in cui la comunicazione a senso unico di giornali e televisione vede un declino apparentemente inesorabile e la cifra preponderante è proprio quella dell’interazione, della connessione e della condivisione. In una parola, dell’essere appunto social e magari anche smart, cioè veloci, leggeri, acuti ed eleganti, senza tanti fronzoli e complicazioni. Ma proprio questa democratizzazione e velocizzazione dei processi comunicativi ci espone alla calata, per citare Umberto Eco, di “legioni di imbecilli” ben armati di ogni idiozia, fake news, e gratuita cattiveria nelle vaste praterie del vivere sociale. Una barbarie che ha poi travolto anche i cosiddetti mezzi tradizionali, in una contaminazione da questo punto di vista non proprio positiva con le nuove dinamiche comunicative. Eppure la Chiesa continua a crederci. A credere che comunicare e comunicare bene sia bello, necessario, addirittura vitale. Ma occorre, come ha ricordato papa Leone all’indomani della propria elezione nell’incontro con gli operatori dei media provenienti da tutto il mondo, «disarmare le parole». Purificare il nostro modo di comunicare da ogni traccia di aggressività e di volontà di dominio sull’altro, scardinando i paradigmi della competizione, della contrapposizione e della manipolazione. Nel messaggio per la Giornata di quest’anno, scritto ancora a gennaio, papa Francesco diceva: «Sogno una comunicazione che sappia renderci compagni di strada… che sia capace di parlare al cuore, di suscitare atteggiamenti di apertura e amicizia; di puntare sulla bellezza e sulla speranza anche nelle situazioni apparentemente più disperate; di generare impegno, empatia, interesse per gli altri». Ne saremo capaci? Probabilmente con il dono dello Spirito Santo. E iniziando dalle piccole cose. Come per esempio pensandoci bene prima di inviare messaggi o mail dai toni rancorosi e recriminatori; di commentare con livore e cattiveria i post e le foto degli altri sui social; di condividere con frettolosa superficialità notizie eclatanti senza prima averle verificate. Il salmo “Signore, poni una custodia alla mia bocca” andrebbe oggi completato… “e frena le mie dita sulla tastiera!”.
Alessio Graziani
Direttore de La Voce dei Berici
Un passaggio del messaggio di Paolo VI per la prima Giornata del 1967: «Deve essere altamente apprezzato, nel suo giusto valore, il contributo che la stampa, il cinema, la radio, la televisione e gli altri strumenti di comunicazione sociale danno all’incremento della cultura, alla divulgazione delle espressioni dell’arte, alla distensione degli animi, alla mutua conoscenza e comprensione fra i popoli… Chi può, però, ignorare i pericoli e i danni che questi pur nobili strumenti possono procurare ai singoli individui e alla società, quando non siano adoperati dall’uomo con senso di responsabilità e con retta intenzione?».