Mosaico
Università e Chiesa a Padova. La Chiesa attrae l’Ateneo a Padova
Alle origini dell’Università Furono le condizioni politiche e la presenza del vescovo Giordano a favorire l’approdo in città di studenti e docenti bolognesi
Alle origini dell’Università Furono le condizioni politiche e la presenza del vescovo Giordano a favorire l’approdo in città di studenti e docenti bolognesi
Su quel fatidico 1222, quando, secondo le memorie comunali degli Annales Patavini, «fu trasferito lo Studio da Bologna a Padova» ci sono poche certezze, ma molte valide congetture. Da queste ipotesi attendibili parte Donato Gallo intervenendo nel convegno “Università e Chiesa a Padova”, per parlare su “I vescovi di Padova e lo Studio dal Duecento agli inizi del Cinquecento”. «Non è documentalmente certo – sostiene il docente di storia medievale e di storia dell’università – ma si può solidamente ipotizzare che in qualche modo nel trasferimento di studenti da Bologna a Padova c’entri il vescovo Giordano, un presule che veniva da Modena, città con una scuola importante anche se non universitaria, che aveva rapporti con lo Studio di Bologna e che a Padova aveva trovato una scuola della Cattedrale altrettanto prestigiosa; un vescovo che aveva dimostrato la sua intraprendenza recandosi di persona, e a proprie spese, a Roma, per partecipare al quarto Concilio Lateranense. Appare quindi plausibile che abbia agevolato gli studenti e i professori “migranti” che se ne andavano da Bologna perché il Comune emiliano voleva imporre loro giuramenti impegnativi e vincolanti privandoli della libertà, una libertà si badi bene di gruppo e di ceto». Perché non fu scelta una città potente come Verona, o come Vicenza che già nel 1204 era stata meta di un’effimera trasmigrazione, sempre da Bologna? «In favore di Padova – sottolinea Gallo – gioca il fatto d’essere una città saldamente allineata alla Chiesa, in buoni rapporti con la potente famiglia “guelfa” degli Estensi. La venuta di questo gruppetto di studenti e docenti s’intreccia inoltre con l’arrivo in città degli ordini mendicanti, francescani e domenicani, e proprio l’atto di donazione del terreno su cui sorgerà la grande chiesa domenicana di Sant’Agostino ci tramanda i primi nomi di docenti dello Studio di Padova: il decretista Rufino e il decretalista Giacomo da Piacenza figurano nei documenti, redatti il 19 ottobre 1226, di donazione di un terreno della famiglia De Vado e di concessione della posa della prima pietra della chiesa. In quello stesso anno si tiene in cattedrale la lettura pubblica della Rhetorica antiqua di Buoncompagno da Signa,un altro docente che si era spostato a Padova, alla presenza del vescovo, del legato apostolico Alatrino e del teologo milanese Ciufredus, identificato con Goffredo Castiglioni, il futuro papa Celestino IV». Dal 1227 è presente a Padova Antonio da Lisbona, che nei Sermoni dimostra i suoi forti legami con la cultura universitaria inserendo frequenti riferimenti alle opere aristoteliche dedicate alla natura; alla sua morte poi, come testimonia la Vita prima, biografia composta a pochi mesi di distanza da questi fatti, accorse a onorare la salma «la folla degli uomini delle scuole». A questo punto arriva il “buco storico” della dominazione ezzeliniana, terminata la quale subito riaffiora l’interesse del Comune padovano a sostenere lo Studio. Di pochi anni successivo è il primo documento che prova l’esistenza di un forte legame tra l’Università e il vescovo padovano, in questo caso Giovanni Battista Forzatè. «Quest’ultimo – sottolinea Donato Gallo – quando nel 1256 riesce a entrare nella sua sede episcopale, su richiesta degli studenti organizzati in corporazione, fa istanza al papa per l’approvazione del loro statuto. Papa Urbano IV con una bolla del 9 gennaio 1264, conferma lo statuto deciso dagli studenti secondo cui è il vescovo che concede, dopo un pubblico esame dei maestri dello Studio, i gradi dottorali e la licentia docendi. Un potere che, secondo lo storico Andrea Gloria, era stato conferito ai vescovi di Padova fin dalle origini dell’Università, come peraltro accadeva sempre negli atenei sorti in Italia, a eccezione di Bologna in cui tale carica spettava all’arcidiacono della Cattedrale». I Collegi dottorali per gli esami si riunivano in cattedrale e poi nel palazzo vescovile, dove venivano anche conferite le lauree. Nel 1346, il vescovo Ildebrandino Conti ottenne per l’Università da papa Clemente VI una conferma del titolo di “Studium generale”. Nel 1363 Pileo da Prata ebbe da papa Urbano V la concessione ufficiale della Facoltà teologica, di cui il vescovo era cancelliere particolare; tre anni dopo redasse lo statuto del Collegio Tornacense, il primo nella storia dell’Ateneo. Con l’inizio della dominazione veneziana le prerogative dei vescovi-cancellieri vennero progressivamente erose, anche se tutti i presuli veneziani erano passati per l’università di Padova.
Nella storia dei rapporti vescovi-Università emerge il caso di Pietro Barozzi. Il 4 maggio 1489 fece affiggere alle porte della cattedrale e del Santo un editto che minacciava la scomunica a chiunque discutesse in pubblico, anche per ipotesi, l’immortalità dell’anima. «Un episodio – sostiene Donato Gallo – letto come attentato alla libertà di pensiero; in realtà dettato da preoccupazioni pastorali: sottrarre il popolo agli effetti di una discussione prettamente elitaria».