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Chiesa IconChiesa | In dialogo con la Parola

mercoledì 18 Marzo 2015

V Domenica di Quaresima *Domenica 22 marzo 2015

Giovanni 12, 20-33

Redazione
Redazione

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

Vedere

La fede non ha confini di razza e cultura: l’evento narrato dall’evangelista Giovanni echeggia i primi contatti del messaggio del Maestro con mondi altri, qui i greci. Erano saliti a Gerusalemme per recarsi a un tempio fatto di pietre: ora chiedono di vedere-conoscere la dimora di Dio fatto persona: Gesù. Perché tutta la trafila della mediazione di Filippo e Andrea? Dice di noi, del fatto che non arriviamo a Gesù se non attraverso la vivente tradizione apostolica della chiesa. Noi mettiamo il desiderio e la domanda, la chiesa è il luogo che permette l’incontro. Gran bella cosa quel desiderio di vedere-conoscere (il verbo greco include i due significati): e quanto oggi non possiamo darlo per scontato. Indifferenza religiosa si dice e quanti di noi ci si scontrano giorno dopo giorno… Resta il fatto che essere umani è nostalgia di infinito, sempre, anche quando si decide di accontentarsi di un placido materialismo, di un educato agnosticismo e quant’altro. «Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore» dice infatti Geremia nella prima lettura: è scrittura indelebile quell’offerta d’amicizia, per quanto la si possa dimenticare e trascurare.

My Personal Jesus

«Reach out and touch faith, your own Personal Jesus» (tendi le braccia e tocca la fede, il tuo Gesù personale): è il verso di una canzone dei Depeche Mode, famosa rock-pop band degli anni ’90. È la pretesa di fare a meno di ogni mediazione, della chiesa, di costruirsi un Gesù a propria immagine e somiglianza. Ai Greci che lo cercano (anche per la sua fama?) Gesù non offre un’immagine accattivante, modellata su umanissime attese: annuncia il dono della vita come sua glorificazione; chiede di morire al proprio ego. «Amare la propria vita» è altra cosa dalla giusta autostima, che tra l’altro per un cristiano si fonda sull’essere figli sempre amati dal Padre. È quell’illusione per cui ti identifichi e riduci a un ruolo sociale, all’efficienza produttiva, a titoli altisonanti scritti su un biglietto da visita: ti attacchi a qualcosa che descrive ma non esaurisce la bellezza più vera che ti è propria. Della tua vita farai capolavoro se sarai servo unicamente di Dio («Se uno serve me, il Padre lo onorerà») perché in lui sperimenterai la libertà che nasce dall’essere amato senza condizioni, al di là dei meriti.

Vino o aceto?

«Imparò l’obbedienza da ciò che patì»: così la lettera agli Ebrei. Cosa si impara dalla sofferenza? Mi capita di incontrare persone che nella “spremitura” della prova sono come un buon vino; altre, invece, sono inacidite, rabbiose e “velenose”. Cosa fa la differenza? «Per il suo pieno abbandono a Dio, venne esaudito»: “abbandono” potrebbe sembrare qualcosa di passivo, invece nel vocabolo originale (eulabeia) indica chi “prende bene” le situazioni, chi le assume da protagonista, non come schiacciato né obbligato. Gesù Cristo venne esaudito? Non evitandogli la croce, piuttosto nella forza di andare fino in fondo alla strada esigente dell’amore. «Imparò l’obbedienza da ciò che patì, e reso perfetto divenne causa di salvezza eterna…». In quel «reso perfetto» la seconda lettura ricorda la solenne consacrazione del sommo sacerdote, che avveniva fra canti e incensi, con un rituale sontuoso nel tempio. Gesù, invece, ha ricevuto l’investitura a sommo sacerdote appeso a un patibolo infame, fuori dalla Città Santa, sbeffeggiato. Sommo sacerdote in forza del dono della vita, non per i fasti della liturgia.

No pain, no gain 

«No pain, no gain» (dall’inglese, senza sacrificio, nessun risultato): è il ritornello che in continuazione sale dal campo sportivo dietro la canonica, dove si sta allenando una squadra di football americano. Mi ricorda che il sacrificio fa parte del menù base della quaresima. Il sacrificio non è un fine, non è affatto un bene in se stesso, come sa il chicco che muore in terra per portar frutto, come sa la vite che conosce il dolore della potatura. E Gesù sente tutto il turbamento di affrontare come vero uomo il suo cammino («Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò?»): non c’è modo più forte e chiaro per dire dell’amore di Dio se non accettare anche la croce, senza rabbia, anzi nel perdono ai torturatori, così sconvolgente. È il sacrificio: non gode di buona reputazione, non pochi nostri contemporanei sembra facciano di tutto per evitarlo. Slegato dall’amore il sacrificio resta monco; resta muto anche quando mancano la conoscenza e la consapevolezza, cioè non si ha chiaro per chi e perché lo si accetta. Nello sport pare sia un gradino pressoché indispensabile per gli alti livelli: così anche nella fede. Fa pensare l’etimologia: rendere sacro, strappare qualcosa dall’ordinario per consacrarlo a Dio. Dio certo non vuole che i suoi figli soffrano, ma ogni lotta per il bene e la verità costa.

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