Veneto. C’è una mafia “silente” all’attacco delle imprese

La regione in un momento decisivo nella lotta alle infiltrazioni malavitose. La criminalità ha scelto di inserirsi soprattutto nel sistema produttivo locale. Crisi economica, corruzione e “nero” creano un terreno di possibile illegalità. Il bisogno di consapevolezza e di un’azione di tutte le forze politiche e sociali. I primi segnali della presenza malavitosa risalgono a molti anni fa ma spesso sono stati troppo sottovalutati. Il mondo delle aziende sempre più a rischio.

Redazione

Per anni siamo stati ipocritamente accomodati su un divano imbottito di presunte certezze e falsi luoghi comuni. Eravamo convinti, noi veneti, che la mafia non avesse nulla a spartire con il nostro contesto economico e socialeQui si stava bene, si cresceva, non si alimentava quel tessuto di disagio in cui il malaffare da sempre ha trovato il terreno più fertile per radicarsi e prosperare. Certo, anche qui, nel benedetto Nordest, c’era qualche macchia, ma cose di poco conto, riconducibili peraltro all’improvvida azione dello stato, che aveva importato germi di malaffare attraverso il soggiorno obbligato di qualche personaggio non proprio raccomandabile. Per anni, dunque, siamo stati tranquilli; troppo.

Poi sono cominciati a emergere i primi segnali di quelle che comunemente vengono chiamate le “infiltrazioni”, la possibilità che, magari senza clamore, il crimine avesse messo gli occhi sull’economia di casa, con modalità e strategie diverse da quelle più consuete, non usando le pistole ma strumenti più sofisticati. I primi segnali di questa possibile (o probabile) minaccia sono stati lanciati parecchi anni or sono, nel 1994, quando la commissione antimafia aveva messo nero su bianco un primo dato: il Veneto non doveva ritenersi un’isola felice, perché i segnali che la mafia (in senso generico) aveva messo gli occhi su questa parte d’Italia c’erano tutti.

Il primo motivo di tale considerazione paradossalmente stava proprio in quello che da sempre era stato considerato l’antidoto principe all’illegalità criminale: il benessere, la ricchezza. Si pensava, come detto, che lo star bene fosse un anticorpo decisivo che non lasciava spazio ad avventure devianti; invece ci si è accorti (lo hanno accertato dal 2013 anche i rapporti ufficiali di Unioncamere) che, proprio perché c’era ricchezza, la mafia era interessata a questi territori. Un’attenzione che tendeva a trasformarsi in possesso, in infiltrazione operativa, seguendo canoni e modalità diverse da quelle verificate in altri contesti: niente violenza, niente armi, ma “silente” penetrazione nella struttura vitale della società veneta, nel mondo delle imprese, delle attività produttive.

Ora si è quasi certi: la mafia veneta è una criminalità di mercato, che punta ad acquisire fette importanti del sistema produttivo, luoghi ideali per controllare, fare affari, riciclare il denaro illecito. La via criminale della mafia veneta, insomma, passa per l’apparente legalità di soggetti (uomini e aziende) insospettabili. La situazione, dagli inizi degli anni Novanta, si è ulteriormente complicata per alcune contingenze: la crisi, ad esempio, che ha reso più fragili tanti imprenditori e, si sa, nei momenti di debolezza le tentazioni diventano più forti nella loro percezione e nella capacità di attrarre e coinvolgere. Aggiungiamoci anche il fatto che il Veneto, recentemente più che in passato, è terra che ha dimostrato una straordinaria attrazione per la corruzione, soprattutto nell’ambito della gestione dei beni pubblici, nella realizzazione della grandi opere.

Un malaffare che è trasversale a tutte le posizioni pubbliche: dal presidente della regione, al piccolo funzionario del catasto di Padova, da chi chiede percentuali milionarie sul Mose, a chi si ricava qualche decina di euro da una pratica in via privilegiata. Aggiungiamo il fatto che questa è terra anche di “discreti” (nei numeri e nella pratiche) evasori, che gira molto “nero”, che quindi vi è un’esigenza fondamentale di far circolare denaro di provenienza non proprio cristallina. Insomma, nel Veneto del benessere, anzi proprio per la ricchezza, vi sono molte, troppe condizioni che attirano e alimentano le attenzioni criminali delle mafie.

«Siamo in un crinale – spiega Claudio Piron del consiglio direttivo di Avviso pubblico – in una fase decisiva. Nella nostra regione ci sono tutte le condizioni perché le infiltrazioni criminali diventino sempre più pesanti, perché si impossessino di segmenti decisivi della società. La mafia (in senso lato) qui è silente, non fa clamore, non fa ricorso alla violenza. I malavitosi hanno scelto di investire in quella che è la vera ricchezza del Nordest: le imprese. È attraverso la penetrazione nella struttura produttiva locale che l’illegalità vuole radicarsi e crescere; per questo la situazione è molto pericolosa».

Siamo già a questo punto?

«Stiamo correndo un pericolo molto forte; mi verrebbe da dire in Veneto è più favorevole il contesto, che il tessuto non è ancora inquinato in maniera irreversibile. Ci sono tutte le precondizioni per un’espansione malavitosa; a meno che non ci sia una risposta forte da parte di tutti».

Domanda perfino scontata: che cosa fare per evitare tale pericolo? «Il primo gesto importante, anzi decisivo, è quello di prendere consapevolezza di quello che potrebbe accadere, partendo da una seria analisi dei rischi che corriamo. La consapevolezza deve essere universale: delle istituzioni, della politica, degli enti locali, dei soggetti economici, delle associazioni di categoria, dei sindacati. Tutto questo senza ipocrisie o sottovalutazioni».

Poi? «Dalla consapevolezza alla responsabilità di gesti concreti. Fortunatamente abbiamo una legge proprio per limitare i danni delle infiltrazioni mafiose: usiamola. È una normativa che è giunta, nel 2012, tardi rispetto ai primi allarmi lanciati ad esempio dalla commissione antimafia (1994), ma è uno strumento che per essere efficace deve essere usato».

Tocca quindi alla magistratura? «I giudici fanno le inchieste, lavorano sui fatti sospetti o denunciati, rimane tutto il resto, che è molto importante. Per evitare o quanto meno limitare il pericolo mafioso esistono due strategie: quella dell’assunzione di responsabilità allargata a tutti i soggetti coinvolti e quella della continuità».

Siamo ancora in tempo? «Siamo ancora nel crinale: dobbiamo scegliere da che parte andare o cadere. Ci sono tutti i margini per fare del Veneto una terra pulita, nonostante siano cresciute le condizioni di criticità legale. Ma, ad esempio, non abbiamo municipi in odore di malaffare, non ci sono enti locali commissariati. C’è tanta, troppa corruzione, ci sono gli imprenditori in crisi e tentati, c’è il lavoro nero, il denaro che circola, gli affari, molto di equivoco, ma anche tanto di buono. Dobbiamo solo scegliere chi privilegiare».

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