Mosaico
Come riuscire a dire il tutto e il niente, la contraddizione delle parole finite che vorrebbero significare l’infinito, con il rischio del leopardiano annegamento nel mare del mistero? Con la coscienza di questa apparente contraddizione, sembra dire Arnoldo Mosca Mondadori nella recente silloge delle sue raccolte poetiche dal titolo “Poesie mistiche” (Morcelliana, 448 pagine, 30 euro).
Mosca Mondadori, pronipote del fondatore della grande casa editrice, non è solo un poeta, ma anche curatore di opere di altri (le poesie religiose di Alda Merini ad esempio) e promotore di iniziative, come l’Orchestra del mare, tese a superare gli scogli del sospetto verso l’altro, consapevole che la parola poesia reca in sé, fin dal suo etimo, l’abissale richiamo al fare, al compiere, e quindi all’essere nella sua immensa completezza.
In queste poesie l’unione è il tentativo di dire quel contatto in cui le parole appaiono come lontani, remoti riecheggiamenti di qualcosa di unico che è rimasto in noi e che forse è alla radice di quella nostalgia senza apparente oggetto che talvolta fa capolino nel nostro animo. E non è un caso che qui aleggi l’ossimoro, l’accostamento tra termini opposti, attraverso il quale si può tentare la testimonianza dell’incontro con l’Altro, in cui “il tuo fuoco e la tua pace” spaventano l’uomo legato alle apparenti distinzioni materiali; questo incontro può essere suggerito solo dall’uso millenario del termine “tremendo”, che fa capire lo spasmo del contatto con l’indicibilmente altro. Un altro in cui ci si può perdere, nel senso di ricongiungimento con qualcosa che è già stato nostro in un tempo e un luogo perduti. Ma non per sempre.
E non è un caso che nelle pagine di queste testimonianze mistiche emerga l’immagine mariana e soprattutto la necessità di ricorrere all’indicibile dell’Icona: essa riassume in sé ogni movimento dello spazio-tempo umani e per questo non ha bisogno delle “illusioni” prospettiche e spaziali, come avevano notato grandi studiosi come Florenskij e Evdokimov.
L’immagine sacra, come le parole del mistico, è la fonte cui si rivolge l’essere in contemplazione e in preghiera. La società del nostro oggi, che si dichiara più civile e più attenta all’uomo, sta rivelando attraverso i massacri di innocenti, guerre, una estetizzazione fine a se stessa dell’essere e un consumismo massificato, i limiti di questa assolutizzazione esclusivamente materiale e estranea all’aspirazione verso altro.
Nelle poesie e nei frammenti in prosa di Motta Mondadori si parla della fuga nel nostro oggi dalla bellezza spirituale e si torna ad un grande e antico simbolo, la rosa mistica, “Rosa suprema che governi tutte le cose”, che nel corso dei secoli ha rappresentato la bellezza indicibile del divino.
Il corpo e l’anima, lo spaziale e l’intangibile, non sono qui posti nella tradizionale contrapposizione, ma in una sintesi abissale che solo la poesia può tentare di trasmettere umanamente: “Eri puro corpo di Soave Profumo/ che in un frammento di istante/ mi mostravi gli infiniti universi/ e gli infiniti tempi e spazi”.
Questa richiesta di senso, in cui riecheggia, come abbiamo accennato in apertura, anche quella leopardiana, ricorda la persistenza di quella domanda che non si è mai acquietata nelle dottrine materialistiche: anzi, è centro focale di una poesia costantemente alla ricerca del soffio divino in ogni parte dell’universo.