Nel 71° anniversario della morte del servo di Dio Vinicio Dalla Vecchia – caduto in montagna il 17 agosto 1954 – guardiamo con i suoi occhi a un “fronte” in cui, tra ieri e oggi, è impossibile qualsiasi paragone: la scuola. Allora il dovere e la figura del docente erano totem intoccabili. Guai a metterli in discussione. Oggi invece nella scuola tutto è contestabile, come si è visto negli ultimi esami di maturità, dove qualche studente fantasioso (a promozione acquisita) ha pensato bene di boicottare l’esame orale. A livello didattico, credo, siano sempre validi due principi: il dovere di imparare e il rispetto verso l’istituzione scolastica (salvaguardando l’impegno a cambiare quello che non va ovviamente). Vinicio Dalla Vecchia rimase sempre fedele a questi due principi, e lo stesso fecero i suoi compagni, non astenendosi dalla contestazione e dalla celia.
Non è male richiamare alcuni flash del suo percorso di studente all’istituto tecnico di Brusegana a Padova, Duca degli Abruzzi. Molte le materie da studiare: quelle generali e quelle di indirizzo. Le lezioni si svolgevano sia al mattino sia al pomeriggio, pochi i momenti di libertà. L’agricoltura allora era una materia in grado di offrire diverse prospettive occupazionali. Sul piano del rendimento Dalla Vecchia non deluse i genitori Riccardo e Corinna. Lo attesta il fatto che allora c’era la consuetudine di regalare un libro a chi avesse chiuso con ottimi voti l’anno scolastico, Dalla Vecchia se lo aggiudicò più volte.
Erano previste lezioni di teoria e di pratica con esercitazioni varie sulle colture, la vite, l’allevamento degli animali… da svolgersi in campagna. Nel settembre 1938, il prof. Battista Bottazzoli, dopo avere consegnato una vanga a ogni studente, li portò su un campo a rompere le zolle di terra. Il primo giorno si lavorò sodo; il secondo giorno a parità di ore il lavoro era già la metà, mentre cominciavano a essere vistose le prime vesciche alle mani; il terzo giorno lavorarono ancora meno e fu spontanea in Dalla Vecchia questa considerazione: «Ci siamo iscritti a una scuola per studiare e non per lavorare i campi, se no tanto valeva che stessimo a casa».
Nel corso di un’altra esercitazione pratica, sempre lo stesso professore, raccomandò agli studenti di “fare una potatura energica” delle viti. I giovani presero la raccomandazione alla lettera e cominciarono a tagliare drasticamente i tralci rovinando le piante. Dalla Vecchia invitò i compagni alla cautela e al giusto discernimento dei tralci da potare. Molte le bravate involontarie. Nel corso di una lezione di chimica in laboratorio Dalla Vecchia rischiò un principio di incendio ai vestiti. Il clima di quelle ore di scuola è ben descritto in questa testimonianza di Domenico Dal Ferro, amico di Vinicio: «Noi tutti lo sentivamo il migliore, il più preparato dell’intera classe. Eravamo una banda di ragazzi che sentivano la presenza della guerra e che presagivano il futuro difficile con il richiamo alle armi e nel frattempo eravamo talmente spensierati e incoscienti da combinarne giornalmente una di troppo con allegria irresponsabile. Dalla Vecchia partecipava, non era schivo come sembrava, ben attento però a evitare di partecipare alla banda quando gli episodi si facevano pesanti. Tipo rubare le uova sul pollaio del preside Cacchi e fare incetta di mele nel suo giardino proibito, saltando la mura. Mettere la polvere di gesso sopra la mensola dove il professore di contabilità posava il suo cappello nero tanto che a fine lezione quando se ne andava via, pareva un santo con l’aureola […]. Dalla Vecchia partecipava senza impegnarsi ma ricordo il riso irrefrenabile che lo travolgeva illuminandogli il viso. Allora diceva: “Ragazzi, adesso basta se no ci cacciano via”»