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Vino ancora miliardario ma da tenere sotto osservazione. Alla vigilia del Vinitaly 2025 il comparto ragiona su problemi e prospettive
Istituzioni e produttori cercano di fare fronte comune
FattiIstituzioni e produttori cercano di fare fronte comune
Un mercato miliardario ma denso d’incognite. E’ così il vino italiano: ricco e pregiato, ricercato ed imitato. Ma pur sempre alle prese con un mercato difficile e pieno di sorprese. La vitivinicoltura nazionale non attraversa certo un momento facile: oltre al cambio di regole europee, i dazi di Trump non promettono nulla di buono. Di tutto questo e d’altro ancora – come per esempio dei vini privi di alcool – si parlerà al prossimo Vinitaly scaligero tra pochi giorni.
Come sempre Vinitaly racconterà il meglio del comparto: 4mila aziende espositrici, operatori da 140 nazioni, 30mila buyer internazionali, inclusi gli americani. Già, gli americani. Proprio dagli Usa, arrivano, com’è ovvio, le nubi più preoccupanti. Stando ad alcuni calcoli dei coltivatori diretti, il “blocco delle spedizioni di vino verso gli Stati Uniti a causa dei timori legati ai dazi potrebbe costare 6 milioni al giorno alle cantine italiane, con un danno economico immediato al quale rischia di aggiungersene uno a livello strutturale, con la perdita del posizionamento del prodotto sugli scaffali statunitensi”. Certo, tutto potrebbe cambiare da un giorno all’altro, ma il timore gioca, in questo periodo, forse più che la certezza. E non gioca a favore del comparto. Eppure, come è stato detto dal ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida proprio nel corso della presentazione di Vinitaly 2025, “il mondo del vino ha raggiunto, dal punto di vista dell’export, risultati importanti mai ottenuti prima e voglio ringraziare il settore, che in questi anni ha sostenuto il nostro export. il problema principale non sono i dazi, ma la criminalizzazione del vino attraverso una propaganda penalizzante. Se in futuro dovessero arrivare i dazi, troveremo il modo di affrontarli”.
Intanto, ci si aspetta molto dalla nuova proposta di regolamento europeo appena presentata dalla Commissione. Uno schema che cancella l’indicazione “vino dealcolizzato” e ne introduce altre meno impattanti, ma che delinea anche una etichetta unica per tutte Europa così come una maggiore flessibilità per gli impianti e per gli aiuti.
Istituzioni e produttori, in altri termini, cercano di fare fronte comune. E, per ora, i numeri di mercato indicano una situazione soddisfacente. Stando ad una recente analisi di Ismea, con quasi 22 milioni di ettolitri spediti oltre frontiera, l’export vinicolo italiano ha superato nel 2024 il traguardo degli 8 miliardi di euro di fatturato. Un nuovo record, favorito anche dalla corsa alle scorte negli Stati Uniti. Oltre allo scatto in avanti dei valori (+5,5%), tornano a crescere i quantitativi inviati all’estero con un +3,2%, dopo la battuta d’arresto del 2024. Ancora una volta, dicono gli analisti del mercato, a trainare le vendite sui mercati internazionali sono state le bollicine, che rappresentano oggi il 25% dell’export in volume e il 29% del valore maturato sui mercati esteri. E anche il bilancio dell’anno del segmento spumanti è estremamente positivo, con una progressione del 12% in termini quantitativi e del 9% nei corrispettivi monetari. Il risultato? L’Italia si conferma leader mondiale per volumi esportati e seconda in valore dietro la Francia, con una dinamicità dell’export che non ha rivali in Europa. Con, tra l’altro, il mercato Usa in primo piano.
Che le sfide siano comunque molte è indubbio. Ad iniziare da quelle del clima per arrivare a quelle proposte dai mercati al di là dei dazi. Pesa, per esempio, sempre il cosiddetto italian sounding, cioè l’uso di imitare nomi e immagini dei nostri prodotti per venderne altri simili.