Una vendemmia quasi da manuale: il 2025 sembra proporsi come una nuova data da ricordare per il vino veneto, per lo meno per le condizioni nelle quali le uve sono state raccolte, sane e in ottimo stato di salute. Lo aveva anticipato Veneto agricoltura nell’annuale anteprima che precede di pochi giorni, a fine agosto, il taglio dei primi grappoli, lo confermano i produttori ora che le uve sono state in gran parte – ma non tutte – vendemmiate. I dati sono presto detti: rispetto al 2024, quando erano state raccolte 1.374.400 di tonnellate d’uva, ne sono attese circa 100 mila in più.
Nel 2025, in particolare, i danni provocati dalla peronospora, un fungo favorito dalle condizioni di umidità, sono stati molto più contenuti, e il meteo estivo, secondo quanto spiegato da Fabio Zecchini dell’Arpav, non avrebbe inciso troppo negativamente, nonostante una delle ondate più calde degli ultimi settant’anni, particolarmente durature e intense, e un mese di luglio con all’opposto precipitazioni quasi record che hanno riequilibrato la situazione. Risultato: uve più sane e “pesanti” rispetto all’anno prima per una resa produttiva, in media, in leggero aumento. Entrando nel dettaglio, i dati elaborati dall’Osservatorio economico agroalimentare di Veneto agricoltura evidenziano nel Padovano un incremento fino al dieci per cento per Glera, Pinot grigio, Merlot e Cabernet, una produzione stabile in provincia di Treviso, mentre per Vicenza e Verona l’annata si prospetta particolarmente positiva, con aumenti anche oltre il dieci per cento per Corvinone e Garganega.
«Con la vendemmia di quest’anno chiudiamo una stagione che non ha rilevato particolari criticità – ha confermato Franco Adami, presidente del Consorzio Conegliano Valdobbiadene – e le prospettive sono molto buone. La vendemmia 2025 si preannuncia, quindi, come una delle tre o quattro migliori degli ultimi trent’anni». Mentre Diego Tomasi, direttore del medesimo Consorzio, spiega come l’annata trascorsa abbia registrato il 30 per cento in meno di precipitazioni rispetto alla precedente, ma con un carico termico come il 2024. «Confermiamo un ottimo equilibrio tra acidità e zuccheri – ha sottolineato – ma soprattutto dei valori aromatici su buoni livelli, accompagnati da un perfetto stato sanitario».
Quantità più contenuta della media ma qualità soddisfacente anche sui colli Euganei, dove la vendemmia è iniziata verso il 20 agosto, con un anticipo di circa una settimana rispetto alla norma, e si concluderà in ottobre con la raccolta delle uve di Raboso. Lo stato sanitario delle uve Moscato, Serprino (Glera) e dei “bordolesi” (Merlot, Cabernet e Carmenere) è stato ottimo e si è registrata l’assenza di peronospora e oidio, principale minaccia dell’intera stagione. Il Consorzio di tutela Vini colli Euganei prevede quindi una buona annata, con uve sane e ricche di precursori aromatici, grazie a notti fresche e giornate miti, soprattutto nella zona meridionale dei Colli dove la piovosità è stata inferiore. La quantità sarà leggermente inferiore, come avviene di solito nelle annate anticipate. Si attende ora la raccolta delle varietà tardive per tracciare un bilancio definitivo.
In Valpolicella, invece, la vendemmia è iniziata ufficialmente solo l’8 settembre: «Il risultato dell’andamento climatico dell’annata 2025 dovrebbe portare nei calici vini che esprimono spessore e fedeltà ai terroir della denominazione, con prospettive qualitativamente interessanti – dichiara anche il presidente del Consorzio di tutela vini Valpolicella, Christian Marchesini – Mentre dal punto di vista quantitativo il raccolto dovrebbe attestarsi intorno agli 850 mila quintali di uva, il 10 per cento in meno dello scorso anno. Circa 350 mila saranno riservati all’appassimento di Amarone e Recioto».
Al citato appuntamento organizzato da Veneto agricoltura, assieme alla Regione Veneto e in collaborazione con Crea, Arpav e Avepa, non si è parlato solo di vendemmia ma anche di dazi e altre problematiche che affliggono il settore, come la necessità di smaltimento delle scorte a fronte degli incrementi di produzione. «L’unica preoccupazione è legata al contesto internazionale – ha commentato l’assessore regionale all’agricoltura Federico Caner – vista la conferma dei dazi da parte degli Stati Uniti, ma il Veneto è perfettamente in grado di gestire questo aumento. Anche il pacchetto vino dell’Unione Europea è uno strumento che ci potrà dare una mano a contrastare le conseguenze legate ai dazi assieme alla ricerca di nuovi mercati». Anche il turismo enogastronomico può essere d’aiuto, essendo il Veneto ricco di comprensori, alcuni riconosciuti dall’Unesco, da valorizzare.
Il meteo estivo non ha inciso negativamente, nonostante un’iniziale ondata di caldo senza precedenti, rintuzzata dalla piovosità successiva.
I dazi sui prodotti agroalimentari tengono la scena, tra preoccupazioni e ricerca di alternative. A esserne interessato non è solo il mondo del vino, ma anche l’olio e altri prodotti bandiera del “made in Italy”. Gli Stati Uniti sono, infatti, il principale mercato extra-Ue per l’agroalimentare italiano, con un valore che nel 2024 ha sfiorato gli 8 miliardi di euro. «Le tariffe al 15 per cento sui prodotti agroalimentari italiani senza alcuna esenzione rischiano di far perdere oltre un miliardo di euro alla filiera del cibo italiano, con vino, olio, pasta e comparto suinicolo tra i settori più colpiti, confermando come sia sempre l’agricoltura a essere sacrificata», hanno affermato Coldiretti e Filiera Italia, sulla base dei dati del Centro Studi Divulga, in merito all’accordo-quadro raggiunto a fine luglio in Scozia. Per Coldiretti, l’accordo conferma uno squilibrio decisamente a favore degli Usa rispetto all’Europa e spinge per ottenere l’esclusione dei prodotti agroalimentari di eccellenza dalla lista dei dazi, in particolare per il vino. Rileva, inoltre, come il settore rischi ulteriori penalizzazioni proprio dal taglio senza precedenti delle risorse Ue previsto per il prossimo bilancio comunitario.
«Qualora venissero confermati i dazi Usa al 15 per cento, ogni bottiglia di vino Doc dei colli Euganei potrebbe costare fino a un 20 per cento in più sugli scaffali d’oltreoceano. Se non è una batosta, poco ci manca», osserva anche il presidente di Cia Padova, Luca Trivellato, che rileva come il mercato Usa sia il primo in termini di export per varietà quali il Serprino, il Fior d’Arancio, lo Chardonnay e il Pinot, con un fatturato annuo che supera i 50 milioni di euro. Non solo, nell’ultimo decennio il trend delle esportazioni verso gli Stati Uniti risultava in crescita, con punte del 10 per cento in più. Chiede quindi un’azione politica forte, a livello nazionale ed europeo, che preveda adeguate risorse non solo come ristori per i maggiori costi di filiera ma anche per limitare l’effetto dumping, ovvero la tentazione di abbassare il prezzo da parte dei produttori per rimanere competitivi, e di mettere in campo una nuova comunicazione per difendere il vino da pregiudizi e fake news.
Se il vino italiano è il prodotto più colpito anche in quanto prima voce dell’export agricolo (si ipotizza un impatto di oltre 290 milioni di euro), a ruota c’è l’olio extravergine di oliva, che rischia di essere penalizzato per oltre 140 milioni di euro, mentre per la pasta di semola si stima un impatto di circa 74 milioni di euro. Meno preoccupazione c’è per i formaggi, già gravati da dazi importanti.
Tra le preoccupazioni dei produttori vi è anche quella relativa agli standard di sicurezza alimentare: quelli europei sono molto rigidi, l’accordo rischia di portare a pericolosi passi indietro, a scapito anche della tutela della salute dei cittadini.