Idee
La violenza tra gli adolescenti è in crescita? La cronaca, purtroppo, riporta sempre più frequentemente episodi di risse degenerate in accoltellamenti, di aggressioni ai danni di soggetti deboli, di torture di gruppo e di comportamenti devianti.
Anche i risultati dell’indagine annuale sulla popolazione italiana di Eurispes non sono confortanti: pare che oltre un cittadino su due (il 52,5%) ritenga che “baby gang” e teppismo giovanile siano in aumento nella propria zona di residenza. Testimonianze che sono avvalorate dai dati del dipartimento di Pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno, i quali riferiscono che le denunce a carico di minori dal 2019 (ovvero prima del Covid-19) al 2024 sono aumentate del 30%. In particolare, in Italia un arrestato su quattro per rapina ha un’età inferiore ai 18 anni. In crescita anche il numero dei minorenni coinvolti in reati più gravi, come gli omicidi.
La statistica fotografa dunque un’accelerazione che, però, non è solo numerica: la violenza giovanile negli ultimi anni è diventata “più intensa”, più radicata, più legata a un disagio che esplode coinvolgendo spesso soggetti “insospettabili”.
Difficile comprendere cosa accade dentro alla testa di un giovane, o di una giovane, in quei momenti in cui “diventa mostro per un attimo” per poi tornare a casa come se niente fosse.
Dietro molti comportamenti violenti c’è un vissuto – magari sommerso – di sofferenza, emarginazione, abuso, deprivazione e degrado. Quel giovane che aggredisce ha interiorizzato sentimenti di rabbia, frustrazione, impotenza. Nel momento dell’azione, si impone con forza sull’altro e su di sé. La violenza diventa allora rivalsa e reiterazione. Poi, finito l’atto, torna in una normalità piatta: scuola, amici, social, famiglia. Ma non sempre è questo il copione.
Le risse di gruppo, gli atti di danneggiamento, in particolare, sono spesso estemporanei, magari all’interno di una serata all’insegna dello sballo. Diventano “messa in scena”: uno spettacolo che mobilita attenzione, adrenalina, senso alterato di appartenenza al gruppo. Per alcuni giovani, quegli istanti – la coordinazione con gli altri, il rumore, l’urlo, la folla, il rischio – rappresentano un modo per sentirsi “vivi”. Spezzano la solitudine e rispecchiano un tragico senso di inettitudine, tradiscono il vuoto etico interiore e lo smarrimento di significativi punti di riferimento. Gli ambienti sociali colpiti sono quindi trasversali.
La violenza giovanile non è solo una questione di ordine pubblico. È un termometro che registra l’inadeguatezza con cui la società risponde a fragilità, emarginazioni, nodi identitari.
Per la generazione Z (ma non solo), centro di tutte le esperienze è il “corpo”. Un corpo che pare debba modellarsi su immagine iconiche e fuorvianti che i media rimbalzano. Il costante focus sulla fisicità e sull’immagine, fa perdere di vista la dimensione interiore e spirituale. La capacità di essere empatici fa parte del corredo neuronale di ogni essere umano, ma può svilupparsi e arricchirsi soltanto se coltivata in ambito sociale e culturale. Nei giovani più esposti alla devianza, spesso l’empatia è stata inibita da eventi traumatici, dall’assunzione di droghe e dalla dipendenza dal Web. Nel branco, poi, può verificarsi una sorta di “anestesia collettiva”, questo avviene quando la necessità di essere parte del gruppo è più potente del proprio codice morale.
L’utilizzo abituale delle nuove tecnologie, inoltre, se da un lato ha ampliato le possibilità di fare esperienza e relazione, dall’altro ha modificato (non in senso migliorativo) le modalità di comunicazione e ha favorito sempre più di frequente scenari di violenza anche molto gravi. I media, tra l’altro, concorrono spesso ad alterare e distorcere nei giovani e giovanissimi l’immagine di sé e del mondo circostante.
Purtroppo in rete immagini di criminalità, scontri fisici, maltrattamenti, abusi sessuali e via discorrendo possono diventare facilmente catalizzatori di audience e di consenso.
A volte, banalmente, ci si avvicina al “male” per sconfiggere le proprie paure, soprattutto quando sembrano non essere disponibili vie alternative.
La famiglia e la scuola hanno le loro responsabilità. Molti genitori hanno perso ruolo e competenze educative all’interno di un nucleo sempre più in crisi.
Anche un certo tipo di scuola fa la sua parte, quando non tenta il recupero di chi fatica a stare al passo rispetto agli altri, lasciandolo nel suo impasto di rabbia e frustrazione. Quando non si fa carico dell’educazione dei suoi studenti, che non è e non può essere un fatto privato, ma va condivisa dall’intera comunità.
Gli adulti, in generale, faticano a comprendere la complessità delle nuove generazioni e spesso, disorientati anch’essi, perdono carisma e credibilità.