Idee
Confessate. Anche a voi è capitato in qualche conversazione di contrapporre internet e tutto ciò che accade nell’ambiente digitale alla realtà. Perché ci viene da dire, quasi sempre in chiave polemica, che preferiamo gli incontri reali a quelli virtuali? Forse che quelli virtuali non sono reali? Vogliamo dire che tutto quello che grazie a Dio abbiamo potuto fare durante il lockdown, dove il digitale ha reso possibile continuare le attività e mantenere le relazioni, non è stato reale?
Non ho nessun dubbio che gli abbracci fisici siano migliori di quelli virtuali e mi auguro di non dovere celerare mai più un triduo pasquale online, ma questo non significa i primi siano veri e i secondi no.
Perché non dovremmo considerare reale, vero, concreto, tutto ciò che facciamo in rete? In prima battuta forse possiamo dire che, almeno nella percezione comune, tali fenomeni ed esperienze non siano materiali, ma anche questo è di per sé scorretto: la fisicità delle infrastrutture e l’immenso consumo di energia dei sistemi digitali ce lo ricorda in modo assai costoso.
L’opposizione (falsa!) tra reale e virtuale si colloca all’interno di tutta una serie di opposizioni comuni nel nostro sentire. Ad esempio, non abbiamo dubbi nel preferire il naturale all’artificiale. Ma cosa distingue il primo dal secondo? Questi modi di dire rivelano una visione del nostro mondo obiettivamente insufficiente e una concezione sostanzialmente negativa della tecnologia.
L’esempio del cibo, dove il tema naturale è particolarmente sentito, aiuta a comprendere la questione. Tutti noi amiamo e preferiamo il cibo naturale: cioè? A ben vedere, gli unici che hanno mangiato in modo assolutamente naturale sono stati i raccoglitori di bacche del paleolitico. Ma da quando l’uomo ha iniziato a usare un fuoco per cuocere le vivande, a coltivare alimenti e allevare animali, ha introdotto elementi culturali e tecnologici con cui ha prodotto una trasformazione e un’ottimizzazione di ciò che trovava in natura. A prendere sul serio le parole, pane e vino non sono alimenti naturali, non esistono in natura, bensì (lo ricordiamo anche a Messa durante l’offertorio) sono frutto della terra e del lavoro dell’uomo.
“Come natura crea” è uno slogan pubblicitario tanto efficace quanto falso. Certamente dobbiamo preferire alimenti genuini, prodotti nel rispetto della natura, della salute e della giustizia, ma questo non significa evitare scienza a tecnologia. Forse è proprio vero il contrario: se oggi siamo capaci di dare cibo migliore a tutti gli otto miliardi di abitanti del pianeta, è proprio grazie a una ricerca che ha migliorato in termini qualitativi e quantitativi la produzione agroalimentare.
L’esempio gastronomico ci aiuta a comprendere anche quanto accade in ambito digitale. La narrativa cyborg (quei mostri mezzi umani e mezzi robot che ahimè con troppa insipiente frequenza ci sono mostrati) è certamente inquietante. Nessuno vuole questo. Nessuno però sperimenta lo stesso timore angosciato quando vede la pubblicità del signore anziano che riesce ad ascoltare i nipotini grazie a un microscopico apparecchio acustico che ha nell’orecchio. E voglio ancora trovare qualcuno che vive grazie a un pacemaker impiantato nel petto, che si lamenta e spera solo di strapparselo via.
La tecnologia non è qualcosa che si contrappone all’uomo, un nemico di cui sospettare timorosi, non è un mostro che si aggira cercando chi divorare. Piuttosto è uno dei modi che abbiamo di abitare questo mondo. Di essere davvero uomini. Di obbedire al comando di Dio che ci affida una terra da – appunto! – coltivare, come ci insegna il secondo capitolo della Genesi.
Questo significa che tutto quello che facciamo va bene, solo per il fatto che lo facciamo? Certamente no! La responsabilità che il comando di Dio ci affida è duplice: siamo chiamati ad abitare tecnologicamente questo mondo essendo giusti e saggi nei modi e nei fini che ci poniamo.
L’impatto potente della trasformazione digitale in atto impone una riflessione critica puntuale e coraggiosa. Certo non una idealizzazione di una chissà quale natura, se va bene ingenua, talvolta ideologica.