Rubriche | La vita interroga, la teologia risponde
Perché si dice «per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa?». Risponde il teologo
Osserviamo questa domanda da tre punti di vista: il testo in sé, il senso e lo stile.
Osserviamo questa domanda da tre punti di vista: il testo in sé, il senso e lo stile.
La preghiera del Confesso si riscontra dall’epoca medievale e, quindi, non appartiene al nucleo originario della liturgia romana. Come molti elementi medievali risente di un certo individualismo spirituale (infatti si prega a nome di se stessi e non a nome dell’intera assemblea). Tuttavia il testo, che rientra nel genere delle apologie (preghiere con cui il credente si riconosce indegno a fronte dell’immensità di Dio), contiene una perla di grande valore: l’orante confessa la propria colpa a Dio e anche ai fratelli. Scavando nel testo si coglie una modalità fondamentale con cui la fede interpreta l’uomo al cospetto di Dio: inesorabilmente peccatore, ma profondamente graziato. Per quanto misero, l’uomo viene raggiunto dalla grazia nella liturgia, anzi, viene giustificato per grazia celebrando l’immensità della misericordia del Padre, che gli dona la sua benevolenza non perché lo meriti, ma per la ricchezza del suo perdono. Per addentrarsi in quest’esperienza, la liturgia si serve di uno stile ridondante: l’enfasi posta sull’aggettivo (grandissima) che qualifica la colpa è la modalità stilistica con cui il rito amplifica la consapevolezza della condizione di peccato per poter gustare più profondamente il dono della misericordia. Alcuni testi liturgici non hanno lo scopo di descrivere in modo approfondito la condizione dell’uomo; nel caso dei testi poetici l’obiettivo è far suscitare emozioni che la celebrazione stessa intende orientare. Il duro accento posto sulla colpa viene sciolto dalla dolcezza dell’inno festivo, il Gloria, che proclama il perdono dei peccati. La stessa esperienza è vissuta in contesto diverso nella spiritualità ignaziana: la consapevolezza del peccato nella prima fase degli Esercizi è in funzione della contemplazione della grazia riversata gratuitamente su coloro che non ne sono degni. La liturgia, sorgente di spiritualità, desidera condurre i credenti non a sensi di colpa, ma all’ammirazione della generosità di Dio. Alla nostra grandissima colpa corrisponde la sua grandissima grazia.
don Sebastiano Bertin Docente di Liturgia all’Istituto di Liturgia Pastorale santa Giustina e Istituto Superiore di Scienze Religiose di Padova