La scuola padovana «Sta abbastanza bene» secondo Andrea Bergamo, direttore dell’Ufficio scolastico territoriale di Padova e Rovigo, che conclude il suo mandato a fine anno. Il 31 dicembre sarà il suo “ultimo giorno di scuola”
Non sappiamo se sarà effettivamente capace di chiudere del tutto quella porta Andrea Bergamo, in scadenza – per raggiunti limiti di età – del suo secondo mandato di direttore dell’Ufficio scolastico territoriale di Padova e Rovigo. Sarà il 31 dicembre di quest’anno il suo “ultimo giorno di scuola”. Una vita, la sua, trascorsa fra l’insegnamento, la docenza in innumerevoli corsi di formazione (legati soprattutto all’ambito dell’educazione alla salute, dell’handicap, del disagio giovanile, del bullismo, della dispersione scolastica), la dirigenza in alcuni istituti padovani e infine il ruolo di “provveditore agli studi”, la carica più alta delle scuole padovane. Il 21 aprile 2015 l’Ufficio scolastico regionale gli conferiva l’incarico di «direzione dell’Ufficio V dell’Ambito Territoriale di Padova e Rovigo». Il 23 aprile dello stesso anno, rivolto alla scuola padovana e rodigina, scriveva: «Un vecchio proverbio cinese recita che un buon cammino comincia sempre con un primo passo. Il primo passo nella scuola l’ho fatto tanti anni fa, quando varcai la soglia, alquanto austera, di una scuola materna padovana».
Dopo tanti passi, sembra sia giunto oramai a compiere un “ultimo passo”: qual è il bilancio che può fare del suo lavoro?
«In ogni ambito lavorativo in cui ho operato ho sempre raccolto consensi, soddisfazioni e stimoli a sviluppare nuove esperienze lavorative, a cimentarmi con il cambiamento e a mettere a frutto quanto appreso negli anni precedenti. Le amarezze sono state pochissime, ma anche queste mi hanno offerto l’occasione per ripensare il mio posto nel mondo della scuola e mi hanno aiutato a ricalibrare la mia mission in un’ottica di servizio e di maggiore apertura alle idee degli altri. Il confronto è avvenuto su più livelli: con i dirigenti scolastici che a volte reclamano per avere maggiori risorse di organico, con i sindaci che rivendicano un proprio spazio nella collaborazione con le scuole, con molti insegnanti e tante famiglie che chiedono di intervenire nei loro vissuti quotidiani».
Qual è oggi lo “stato di salute” della scuola padovana?
«La scuola padovana sta abbastanza bene. I dati della dispersione scolastica sono più bassi di altre regioni (intorno al 14 per cento) anche se permangono ampie aree di miglioramento. Le nostre scuole vincono concorsi nazionali e internazionali in diverse discipline. Varie realtà scolastiche hanno fatto rete tra loro e con imprese del territorio per costruire sinergie e per offrire un lavoro ai giovani diplomati. I risultati degli apprendimenti rilevati dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) vedono il Veneto ai primi posti della speciale classifica a livello internazionale per i migliori risultati in discipline come matematica e scienze. Nelle scuole padovane lavorano soprattutto docenti che, con passione e professionalità, si prendono cura della formazione intellettiva ed umana dei loro ragazzi: i risultati quindi si vedono».
Su che cosa si dovrebbe lavorare per fronteggiare ulteriormente la dispersione scolastica?
«Possiamo tracciare tre linee di azione: la prima mediante seri percorsi di orientamento post terza media; la seconda tramite la rimotivazione allo studio, accompagnata da percorsi di riorientamento nei casi di errata scelta della scuola; la terza con l’ausilio dei corsi di formazione professionale – di competenza delle regioni – che, prevedendo un numero limitato di ore teoriche a vantaggio di tante ore di pratica professionale, favoriscono la valorizzazione degli allievi che hanno sviluppato una sorta di “intelligenza delle mani” e abilità che saranno fondamentali nel mondo del lavoro».
L’attuale governo si è espresso attraverso voci autorevoli sul fatto di depotenziare la cosiddetta “alternanza scuola lavoro”: che parere si è fatto sulla bontà o meno di questo strumento?
«I risultati sono sotto gli occhi di tutti: le opportunità di sviluppare i concetti di impresa, di lavoro, di studio applicato all’impiego sono cresciuti notevolmente con l’alternanza. In questi anni si sono create molteplici possibilità di far fare ai nostri ragazzi esperienze altamente formanti e professionalizzanti».
Papa Francesco affermava – nel discorso al mondo della scuola italiana il 10 maggio 2015 – che «…amo la scuola perché è sinonimo di apertura alla realtà (…). Nei primi anni si impara a 360 gradi, poi pian piano si approfondisce un indirizzo e infine ci si specializza. Ma se uno ha imparato ad imparare – è questo il segreto, imparare a imparare! – questo gli rimane per sempre, rimane una persona aperta alla realtà!» Secondo la sua esperienza, oggi la scuola sta adempiendo alla missione di far “imparare a imparare”?
«Ero personalmente presente a quel bellissimo incontro a Roma. La scuola italiana in questo momento ha bisogno di testimoni come papa Francesco che crede nel valore della scuola e si adopera per sostenerne il ruolo, come veicolo di messaggi di pace, di cultura, di fratellanza. I docenti devono acquisire sempre più questa competenza: offrire agli studenti strumenti di apprendimento e non formule o nozioni da imparare a memoria. Abituare gli alunni a cogliere il senso di questo importante paradigma, cioè quello che si apprende per tutta la vita e che è importante acquisire un metodo di studio: equivale a dotarli del “carburante”, dell’energia necessaria per sostenerli per sempre».
L’insegnamento della religione cattolica: alcune sue considerazioni e se può dare un consiglio…
«Approfondire questo insegnamento aiuta lo studente a capire meglio il suo paese, ricco di innumerevoli opere d’arte, monumenti e documenti che ci ricordano cosa è, ed è stato, per la nostra nazione il cristianesimo. Inoltre conduce l’alunno a capire che ogni essere umano raggiunge la piena compiutezza della vita se impara a riconoscere anche la sua sfera spirituale, che l’insegnamento della religione cattolica gli può fornire. Se potessi dare un suggerimento agli insegnanti in questione, direi di fare ulteriormente squadra con gli altri docenti proponendo e attivando progetti multidisciplinari». Evidentemente quella porta il professor Bergamo non la chiuderà del tutto.
