L'industria 4.0 pone diverse riflessioni non solo sulla gestione degli spazi, ma anche sugli investimenti in ricerca e sviluppo. L'Europa chiede di puntare sulle start-up innovative, il Veneto è pronto?
Il territorio padovano ha bisogno di riflettereMolte imprese stanno sposando l’innovazione, una scelta senz’altro lodevole, ma che chiede nuovi sacrifici urbanistici. Le riflessioni di Michelangelo Savino (vedila Difesa della scorsa settimana) stimolano molteplici considerazioni: se il Veneto deve confrontarsi con l’industria 4.0, la quarta rivoluzione industriale, questo non significa solo rivedere gli spazi, ripensando ai tradizionali capannoni abbandonati, ma anche investire in ricerca e sviluppo. Parole da cerchiare in rosso nel calendario della programmazione europea. Siamo nell’era delle cosiddette “smart factory”, le imprese intelligenti, e il Veneto, osservando il trend degli ultimi anni, sembra aver colto positivamente la sfida.
Secondo il rapporto statistico della regione Veneto, al primo febbraio 2017, le start-up erano 563, più 48,2 per cento rispetto al dato di un anno prima. Oggi, sottolinea Filippo Mazzariol, responsabile dello sportello Apre Veneto, si toccano le 789 unità: solo la Lombardia ne conta di più. «La crisi ha tolto dal mercato una serie di soggetti che non erano davvero innovativi; in un certo senso ha migliorato il panorama, con imprese che sono sopravvissute grazie all’internazionalizzazione o avendo investito. E qui si vede la tendenza all’imprenditorialità molto spiccata nella nostra regione. Abbiamo numeri importanti per definire il Veneto attento all’innovazione, di tipo incrementale più che radicale: le nostre aziende sono cioè bravissime a perfezionare un’idea di base sviluppata da altri e renderla migliore».
L’Apre, l’agenzia per la promozione della ricerca europea, fornisce supporto e assistenza per la partecipazione ai finanziamenti europei, come Horizon 2020, il più grande programma mai realizzato dall’Ue per la ricerca e l’innovazione. L’Europa chiede di investire in settori che rappresentano vere sfide per la società veneta: salute, benessere, sicurezza, azioni per il clima e per l’ambiente. Ma ci stiamo dimostrando al passo?
«Le imprese che si rivolgono allo sportello Apre Veneto si occupano in prevalenza di ambiente, energia, tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Ict), salute, trasporti, agroalimentare e bioeconomia. In misura inferiore di cultura e nanotecnologia. Estendendo lo sguardo, l’Italia è il primo paese come numero di domande e progetti vinti: abbiamo tante idee e voglia di fare, dall’altra però questo significa che il nostro sistema pubblico e privato dei crediti è poco attento all’innovazione. Ci sono start-up che per finanziarsi vanno in Inghilterra o Germania: per questo bisogna investire nelle persone, nelle teste, nelle conoscenze».
La spina dorsale dell’Europa è per il 98,5 per cento costituita da piccole imprese, con meno di dieci dipendenti. Il Veneto, storicamente, sulle pmi ha costruito la sua economia, ma oggi ci sono esempi valorosi di start-up innovative?
«Di recente un’azienda della provincia di Padova, che ha come oggetto del proprio business la coltivazione di microalghe per realizzare integratori alimentari, ha ottenuto un finanziamento proprio con Horizon 2020. Oppure nel Veronese c’è una realtà che sta creando un sistema per il riciclo totale dei pneumatici con getti d’acqua a forte pressione che migliora la qualità dell’ambiente e fa anche risparmiare. Sono solo due di tante storie virtuose e valide; nel Veneto non mancano progetti validi, se si guarda alle classifiche europee siamo una regione a media-innovazione; ci manca un piccola spinta per diventare un’area stimolante e attrattiva, ma non perché non ci siano idee, piuttosto manca il contesto culturale di contorno. L’esempio è la politica, che non investe sulla carriera dei ricercatori che preferiscono guardare all’estero. Ma così perdiamo competenze che dovrebbero essere, al contrario, valorizzate».
