Se nel Veneto riconosciamo il suo essere territorio diffuso che, senza soluzioni di continuità, ingloba strade, persone e spazi, allora nel campo digitale e delle connessioni, non si può più parlare di smar city, ma di smart land. E per ragionare assieme il Veneto deve avere la giusta maturità culturale.
San Bellino è un paese di mille abitanti o poco più della provincia di Rovigo. È da questa minuscola realtà che il Veneto ha programmato il rilancio, anzi il suo slancio nell’era digitale e connessa: a inizio dicembre 2017 qui è stato avviato il primo cantiere per la posa della fibra ottica per lo sviluppo della banda ultralarga nell’intera regione. Un investimento complessivo da 400 milioni di euro, circa 80 messi dalla Regione, il resto dallo Stato con fondi europei: esattamente tre anni fa, infatti, il governo ha approvato, in linea l’Agenda europea 2020, una strategia per coprire, entro il 2020, l’85 per cento della popolazione con infrastrutture in grado di veicolare servizi di internet a velocità pari e superiori a 100 mbps (megabit per secondo) garantendo al contempo all’intera popolazione l’accesso alla rete internet ad almeno 30 mbps.
Una società digitalizzata pienamente inclusiva per stare al passo di un’Europa che da tempo marcia con un passo differente. Anche se, parlando di inclusione, qualcosa già si muove: secondo il rapporto statistico fornito dalla Regione, nel 2015 la quota di comuni che hanno fornito punti di accesso wifi gratuiti sul proprio territorio sono il 73 per cento dell’intero Veneto, ovvero oltre 40 punti percentuali in più del 2012. La quota più alta nella classifica italiana, alle spalle solo di Emilia Romagna e Marche. Un buon punto con cui partire nell’analisi di un Veneto davvero connesso in rete?
«È un dato che dimostra senz’altro un’attenzione delle amministrazioni locali e un segno di apertura concreta verso la società digitale – commenta Luciano Gamberini, direttore del centro di ricerca interdipartimentale Human inspired technology dell’Università di Padova – ma l’analisi non si deve fermare qui: l’inclusione va riposta soprattutto su una prospettiva regionale, perché se volgiamo lo sguardo oltre le buone pratiche dei singoli comuni, scopriamo che regioni come la Puglia o la Calabria ci sovrastano per percentuale di territorio coperto e raggiunto dalla banda larga. Le coperture sono ancora inferiori e non adeguate ai tempi che stiamo affrontando e anche il tessuto produttivo delle imprese ne risente, non solo il cittadino. Non direi che siamo in ritardo, però: parlerei, piuttosto, di tempi giusti per fare le cose giuste con i mezzi giusti. In informatica vige la legge che chi parte per ultimo ha le infrastrutture migliori».
Anche grazie al supporto dell’Università e alla partecipazione a bandi che coinvolgono più imprese a fare rete, il Veneto insegue gli obiettivi dell’Agenda digitale cogliendo l’opportunità per un concreto sviluppo sociale ed economico grazie all’uso delle tecnologie. Migliorare la qualità di vita delle persone, sostenere la competitività delle imprese e accrescere il livello di efficienza dei servizi pubblici sono strategie che passano necessariamente da questa strada “virtuale”. Soprattutto dev’essere un percorso che non può intraprendere una singola amministrazione o un unico comune. Insomma, dobbiamo già aggiornare il vocabolario superando il concetto di smart city?
«Se nel Veneto riconosciamo la qualità e caratteristica di territorio diffuso, allora dobbiamo spostare il ragionamento dalla smart city alla smart land, alla “terra smart”, ed è fondamentale mettere la persona al centro dei processi decisionali. L’errore più grande è costruire tecnologie senza capire chi è il destinatario, un pericolo che si corre se si fa politica secondo i singoli campanili. Questo percorso è antropologico, non tecnologico: il Veneto è una terra dalle forti personalità, ma anche dai forti individualismi. È una grande risorsa, ma in certi casi può essere un limite perché per lavorare assieme occorre maturità culturale: non è più sufficiente parlare di area senza soluzione di continuità stradale o geografica. Pensiamo al rischio se ogni comune adottasse i propri sensori, i propri rilevatori e suoi big data: in futuro si potrebbe avere una scheda anagrafica non leggibile in un altro comune o una cartella clinica digitale che funziona a Vicenza ma non a Verona. Così verrebbe meno il ruolo sociale del servizio oltre a essere un limite nel campo della ricerca se, immaginiamo, volessimo utilizzare i dati per calcolare un’eventuale incidenza di malattie e quindi avere un’epidemiologia tracciabile».
In Veneto la disponibilità di servizi online interattivi da parte della pubblica amministrazione è in fase di ampliamento e, con focus sui servizi sanitari, la Regione sta concentrando i propri sforzi per concretizzare una nuova visione chiamata “Sanità km zero”: ormai il 60 per cento dei referti viene scaricato online senza l’obbligo di recarsi in ospedale per ritirarli, mentre le ricette digitali emesse superano i 46 milioni di unità.
Come il corpo umano ha bisogno di un sistema nervoso per gestire e coordinare i diversi organi e i muscoli presenti nell’organismo, così anche una realtà intelligente – che sia città o regione – può dirsi tale se la molteplicità di soggetti pubblici e privati, le infrastrutture presenti sul territorio e gli attori politici sono in grado di interagire in modo armonioso. Da San Bellino in provincia di Rovigo al villaggio globale, teorizzato dallo studioso Marshall McLuhan nei primi anni Sessanta, dove tutti sono online. In questa direzione, si legge nel rapporto statistico, ben tre su quattro fra le 437 mila imprese venete hanno un sito web aziendale e quasi la metà sono attive nell’e-commerce, il commercio elettronico. Un utilizzo delle potenzialità della rete più intenso rispetto alle altre regioni non solo per promuoversi come vetrina, ma anche come strumento per vendere.
Ma l’internazionalizzazione, la produttività e la competitività non si raggiungono solo con un click o con una grafica accattivante: «Un sito internet non garantisce automaticamente l’interconnettività – ammonisce Luciano Gamberini – Possiamo, però, riconoscere dei passi da gigante se parliamo di alfabetizzazione digitale e di comunicazione, altrimenti non saremmo sopravvissuti in questa nuova era storica. Ma le aziende non devono limitarsi a questo: il Veneto ha fatto notevoli progressi negli ultimi anni grazie alle reti tra studi, ricerca, bandi, imprese tutti coinvolti in una progettazione comune per il futuro tecnologico. Aziende che erano state rivali si sono ritrovare a lavorare assieme portando alla luce prodotti competitivi con le richieste del mercato. Pensiamo a tutto il mondo della telefonia e del mobile, dell’industria 4.0 o della realtà aumentata utilizzabile nel campo del turismo: le città del futuro si costruiscono partendo da dati seri, concreti e poi capaci di essere raccolti come un tutt’uno, un insieme. È necessario fare psicologia, antropologia e avere attenzione al futuro non immediato, ma ai prossimi 10, 20 o 25 anni. Risolvere i problemi di domani può portare a vincere le elezioni, ma è la via più corta e senza uscita». Insomma, detto in uno slogan, il futuro è il prodotto di connessioni e si sviluppa solo se c’è connessione.
