Altro che alibi “spiegativi”. È tempo di responsabilità

Sempre simpatici e incisivi i neologismi di papa Francesco. Chi non ricorda il suo appello a essere “perdonatori”? Oppure l’invito alla chiesa a essere “facilitatrice” e non controllore della fede? In questi giorni nella consueta omelia di casa Santa Marta il papa ne ha creato uno nuovo. Ha parlato di alibi “spiegativo” delle nostre mancanze, dei nostri peccati.Per leggere il servizio iscriviti gratuitamente al nostro sito.

Redazione

«Tutti – ha detto – abbiamo un alibi spiegativo delle nostre mancanze, dei nostri peccati, e tante volte siamo capaci di fare quella faccia da “ma io non so”, “io non l’ho fatto”, “forse sarà un altro”: fare l’innocente. Così non si va avanti nella vita cristiana». Andare avanti nella vita cristiana è non fare per partito preso l’innocente. «Se non impariamo questo primo passo della vita – ricorda papa Francesco – mai, mai faremo passi sulla strada della vita cristiana, della vita spirituale».

Un’omelia quaresimale in piena regola, non c’è che direUn pressante invito ad assumersi le proprie responsabilità, a non accusare sempre gli altri. Ricordate? «Chi sono io per giudicare?» rispose una volta papa Francesco a un giornalista che gli chiedeva di dire una parola sulla questione dell’omosessualità. Non tutti in quell’occasione hanno colto il senso esatto delle sue parole. Il papa non intendeva certo analizzare in tutti i suoi aspetti la questione omosessualità. Tanto meno intendeva proibire di giudicare, di valutare, di distinguere il bene dal male. Intendeva molto più semplicemente riferirsi agli omosessuali e invitare a distinguere in riferimento all’omosessualità l’atteggiamento dal comportamento o, come si diceva una volta in termini valutativi, il peccato dal peccatore.

Che uno sia omossessuale non significa che sia peccatore, si comporti maleAl pari degli eterosessuali anche gli omosessuali possono comportarsi bene o male, essere peccatori o meno. In quel contesto il papa invitava sì a non giudicare, ma nel senso di non condannare, non offendere, non emarginare gli omosessuali, e più in generale chi per errore, per debolezza o anche per cattiveria si comporta male. Chi sbaglia, chi si ritrova debole, chi è cattivo, ha bisogno di aiuto, non di condanne. Il problema semmai è come aiutare chi sbaglia a riconoscere l’errore, chi è debole a essere più forte, chi è cattivo a diventare buono. E ricordare a chi volontariamente o meno, per errore, per debolezza o per cattiveria ha causato un danno che deve riparare. Pentirsi non basta. E nemmeno chiedere scusa. Solo la riparazione, quando è possibile, è la prova dell’autenticità del nostro pentimento, delle nostre scuse.

Per comprendere e interpretare bene le parole del papa è dunque opportuno ritornare sulla distinzione tra atteggiamento e comportamento e distinguere il “moralmente buono” dal “moralmente retto”. Un atteggiamento può essere moralmente buono o cattivo: dipende dalla volontà (o non volontà) di tendere verso il bene che si riconosce come tale. Un comportamento, viceversa, può essere moralmente retto o erroneo: dipende dal risultato (o non risultato) dell’azione che si compie. Nel primo caso si assume una concezione etica definita “etica dell’intenzione”, in base alla quale bontà o cattiveria morale di una persona dipende solo dalla sua volontà. Nel secondo caso si assume una concezione etica definita “etica del risultato” in base alla quale rettitudine o erroneità morale di un comportamento dipende solo dal risultato dell’azione che si compie.

A partire da queste distinzioni non dovrebbe essere ora difficile collocare le parole del papa nel contesto e sullo sfondo di un’etica della responsabilità che poggia sulla valutazione o giudizio morale sia dell’intenzione che del risultato. Può, ad esempio, essere valutato moralmente cattivo un chirurgo che nonostante la buona volontà e il suo impegno in sala operatoria non riesce a salvare la vita di un ferito? O un genitore, un padre, una madre, che nonostante la buona volontà e l’impegno educativo in famiglia si ritrova con dei figli maleducati, non riconoscenti, delinquenti? Certamente no. E il motivo è che a determinare il risultato delle nostre azioni possono intervenire fattori non imputabili alla persona che li compie. Il che non significa ovviamente che tali fattori siano moralmente irrilevanti. Nella misura in cui sono prevedibili ed evitabili sono infatti da prendere seriamente in considerazione. In caso contrario siamo responsabili. In questo senso ha ragione il papa a ricordarci che il primo passo da compiere nella vita cristiana è non fare quella faccia da innocente e assumersi sempre le proprie responsabilità.

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