Rubriche | Dal Municipio al Campanile
Dal Municipio al Campanile, Codevigo
Il sindaco: «Sulla spinta del volontariato». Il parroco: «Quattro piazze... otto feste»
Il sindaco: «Sulla spinta del volontariato». Il parroco: «Quattro piazze... otto feste»
Poco più di 6.300 abitanti distribuiti su ben 74 chilometri quadrati di territorio, cinque centri e la caratteristica di essere l’unico Comune padovano che si affaccia sulla laguna veneta. Tutto questo è Codevigo, che in gran parte rientra nella nostra Diocesi a parte la frazione Conche. Il sindaco Ettore Lazzaro, alla guida dal 2023 con una civica di centrodestra, spiega quali sono le principali sfide: «Abbiamo una peculiarità notevole a livello territoriale e cerchiamo di valorizzarla al meglio, grazie ai contributi per la Laguna di Venezia. Su questo ambito, peraltro, abbiamo salvaguardato Valle Millecampi, l’unica aperta tra tante valli vicine invece dedicate all’acquacoltura o alla caccia. Valorizzazione in questo caso significa anche dare impulso al turismo lento, con il potenziamento delle piste ciclabili». La volontà di allargare i nuovi percorsi ciclopedonali si intreccia con un’altra potenzialità di Codevigo: «Siamo attraversati da importanti corsi d’acqua con i relativi paesaggi: oltre al Brenta e al Bacchiglione, c’è il canale Novissimo collegato al Brenta stesso. I tracciati lungo di essi ci possono collegare a zone ricche di arte e di storia come la Riviera». Per non parlare di altri elementi d’attrazione, specialmente se messi in rete. «In una terra ricca di casoni storici, ce n’è da noi uno di proprietà della Provincia di Padova». Ma c’è pure la questione viaria, in questo caso una necessità. Continua il sindaco: «La vecchia Statale Romea attraversa una cospicua parte del nostro territochiese e quattro piazze, che ospitano due sagre a testa, delle quali una dedicata al santo patrono della singola frazione e un’altra su temi specifici. In altre parole, ben otto momenti di festa con cui aggregare le comunità e promuovere pure prodotti tipici della zona, dal radicchio di Chioggia e tardivo di Treviso ai formaggi e alle mozzarelle, fino all’asparago bianco». Legame che non significa chiusura. «Per lavoro, c’è tanta gente che viene da fuori e gente del posto che va fuori Comune. Ma è soprattutto in ambito scolastico che tanti ragazzi e giovani si confrontano con altre realtà: alle superiori, per i tanti che vanno a Chioggia, a Piove di Sacco o a Padova; per l’università, a Padova, a Venezia o in altre città». Ma il “no” a ogni forma di chiusura vuol dire disponibilità a collaborare con più realtà possibili. Si tratti delle altre parrocchie del vicariato. Si tratti, in primis, dell’amministrazione comunale. «Con quest’ultima i rapporti sono ottimi. Andiamo a braccetto sia nell’attivazione di iniziative sociali che nella gestione di spazi pubblici per le attività pastorali. Del resto, non abbiamo moltissimi stabili a nostra disposizione». rio. Con tutti i problemi relativi alla sicurezza, che emergono tragicamente negli incidenti più gravi. Per non parlare degli ingorghi in determinati punti come al semaforo del capoluogo. Continuiamo, pertanto, a fare pressione sull’Anas e su altri enti perché vengano realizzate nuove rotatorie e attraversamenti sicuri». La situazione economico-sociale, invece, non differisce molto dal resto del Padovano e del Veneto. «Nonostante l’ampia disponibilità di spazi verdi, il primario non è così diffuso e praticato. Certo, abbiamo prodotti tipici come il radicchio di Chioggia ed è tornata la viticoltura di un certo livello, vedi il Prosecco e il Pinot grigio delle Venezie. Ma abbiamo perso parecchi addetti e attività, soprattutto per quel che riguarda gli allevamenti, a parte alcune stalle di suini e avicole». L’industria è un po’ meno diffusa rispetto ad altre aree del Nordest. «Non mancano comunque realtà che sono cresciute nel tempo, tra queste, un’azienda attiva nel recupero di scarti edili da ristrutturazioni». In linea con il resto dell’area è però la distribuzione dei capannoni: «Abbiamo una zona artigianale lungo la Romea, ma non mancano strutture sorte in mezzo ai campi, dietro case o rimesse, approvate attraverso delle varianti urbanistiche». Se l’occupazione tiene, ciò che preoccupa è il calo demografico. «Anche noi abbiamo perso popolazione, seppure in forma contenuta. Ciò nonostante, contiamo ancora su quattro scuole materne, due paritarie e il resto statali per 160 bimbi, e altrettante primarie. Più il nido integrato a Conche, molto ricercato anche dalle famiglie fuori Comune». Lazzaro si consola con il volontariato: «Vedo molta partecipazione alla vita associativa: dalla Pro loco ai vari gruppi sportivi, passando per la cultura e i progetti di legalità, non mancano idee e voglia di fare. Sarebbe bene, tuttavia, che tornassero le vecchie scuole di politica proprie dei partiti».
Un Comune, cinque parrocchie e due unità pastorali. Un’unità è formata dal capoluogo più Rosara, Santa Margherita e Cambroso. Mentre l’altra è costituita dall’aggregazione della frazione Conche con Valli di Chioggia, fuori dal territorio comunale e dalla Provincia. L’unità che riunisce quattro delle cinque chiese ha iniziato il proprio percorso almeno una ventina d’anni fa. E la guida da un biennio don Michele Bagatella, coadiuvato per le funzioni religiose da don Luciano Lazzaro. «Molto è stato fatto per coordinare le diverse comunità paesane e molto c’è ancora da fare. Ma su certi ambiti corrono assieme da tempo. Penso al gruppo liturgico e a quello della “pastorella”, nonché al catechismo. Come pure ai ministranti, otto giovani che coordinano una quarantina di coetanei. Ma, soprattutto, all’Azione cattolica: contiamo su un gruppo adulti consolidato di 35 persone, quasi tutte con il ruolo di educatori; pure i ragazzi da loro seguiti si dimostrano affiatati, partecipano in cento e passa a ogni campo-scuola». Buona parte del merito viene attribuita allo stesso don Bagatella, definito dall’amministrazione municipale «dinamico e capace di aggregare i giovani». Lui però si schermisce: «Cerco di dare linee guida, senza però mai entrare nello specifico o dare ordini serrati. Al massimo, accompagno nei vari percorsi. Trovo giusto, infatti, dare a ciascuno un certo grado di autonomia e responsabilità; anche perché, se così non fosse, non si porterebbe avanti nulla delle tante cose che abbiamo da fare. Idem dicasi per le nuove generazioni, le vedo molto coinvolte nelle dinamiche pastorali. E si rendono particolarmente utili nell’uso dei social per far conoscere quanto proposto dalla comunità». A proposito di autonomia, è una caratteristica mai venuta meno in nessuna delle quattro comunità parrocchiali. «L’identità paesana è rimasta forte e radicata in ciascuna di esse – continua don Michele – Deve aver aiutato la forte conformazione rurale, nel senso positivo della parola di gente rimasta legata alla propria terra. Come pure può dipendere dalle specificità del nostro territorio, quali l’estensione per una settantina di chilometri quadrati e la laguna che lo bagna per lunghi tratti». Questo si traduce in una molteplicità di iniziative sociali e culturali. «Quattro chiese e quattro piazze, che ospitano due sagre a testa, delle quali una dedicata al santo patrono della singola frazione e un’altra su temi specifici. In altre parole, ben otto momenti di festa con cui aggregare le comunità e promuovere pure prodotti tipici della zona, dal radicchio di Chioggia e tardivo di Treviso ai formaggi e alle mozzarelle, fino all’asparago bianco». Legame che non significa chiusura. «Per lavoro, c’è tanta gente che viene da fuori e gente del posto che va fuori Comune. Ma è soprattutto in ambito scolastico che tanti ragazzi e giovani si confrontano con altre realtà: alle superiori, per i tanti che vanno a Chioggia, a Piove di Sacco o a Padova; per l’università, a Padova, a Venezia o in altre città». Ma il “no” a ogni forma di chiusura vuol dire disponibilità a collaborare con più realtà possibili. Si tratti delle altre parrocchie del vicariato. Si tratti, in primis, dell’amministrazione comunale. «Con quest’ultima i rapporti sono ottimi. Andiamo a braccetto sia nell’attivazione di iniziative sociali che nella gestione di spazi pubblici per le attività pastorali. Del resto, non abbiamo moltissimi stabili a nostra disposizione».
L’eccidio di Codevigo, tra aprile e giugno 1945, fu l’uccisione sommaria di 136 persone, tra civili ed ex militi della Rsi, da parte di ex partigiani e militari del Gruppo “Cremona”. Avvenuto a guerra finita, è tra i più gravi episodi post-resa delle forze tedesche e fasciste. Nel 1962 fu costruito un ossario a Codevigo per i resti di 114 vittime.