Fatti
Un problema chiamato lavoro
Disoccupazione, basso livello dei salari, giovani inoccupati: tre aspetti di uno stesso problema
FattiDisoccupazione, basso livello dei salari, giovani inoccupati: tre aspetti di uno stesso problema
Gli ultimi dati dell’Istat sul lavoro registrano una frenata. Nel mese di marzo si sono avuti 16 mila occupati in meno e la disoccupazione è tornata al 6%, un decimale in più rispetto alla rilevazione precedente. E’ dalla fine del 2024 che si assiste a questo andamento altalenante, anche se il confronto su base annuale ha ancora un saldo largamente positivo. Questo quadro consente ai critici di contestare la narrazione trionfalistica del governo che però ha buon gioco a far valere il dato complessivo degli occupati che è su livelli record. Analoga dialettica si manifesta su quello che sta emergendo come “un grande problema” per l’Italia, per usare le parole del capo dello Stato, vale a dire il basso livello dei salari, che si intreccia con il tema del lavoro “povero”, inadeguato a garantire una vita dignitosa. Il governo non mente quando afferma che i salari stanno crescendo, ma dice una mezza verità perché la stessa Banca d’Italia nel Bollettino più recente parla di “un recupero ancora parziale”. Il fatto è che negli anni scorsi, a causa tra l’altro dell’alta inflazione, i salari reali sono crollati e quelli di marzo, rileva l’Istat, sono ancora inferiori dell’8% rispetto al gennaio 2021. L’Organizzazione internazionale del lavoro nel suo rapporto 2024-2025 annota che siamo ancora indietro nel confronto addirittura con il 2008, molto tempo prima della pandemia da Covid. Il che certifica che quello dei salari inadeguati è un problema strutturale della nostra economia, che travalica l’avvicendarsi delle maggioranze. Bisognerebbe tenerne conto quando ci si attribuiscono meriti e si distribuiscono demeriti a scopo propagandistico. Purtroppo, invece, il dibattito politico si gioca tutto sul presente e sulle variazioni infinitesimali tra una rilevazione e l’altra. Un vizio che impedisce interventi lungimiranti e che risulta particolarmente irrazionale in una fase in cui ancora non si conoscono in modo approfondito gli effetti globali della dissennata guerra commerciale scatenata da Trump. Le statistiche dei prossimi mesi potrebbero restituirci uno scenario assai diverso da quello su cui si sta ragionando ora.
Intanto il nostro Paese deve fare i conti con un dato che spesso viene diluito in analisi generali perdendo così la sua drammatica specificità. E’ quello relativo alla disoccupazione giovanile. In un mese è balzata dal 17,3% al 19%, contro una media europea del 14,5%. Gli under 35 sono diminuiti di 76 mila unità. Gli incrementi occupazionali record che pur si sono effettivamente verificati in questi due-tre anni, si sono in larga misura concentrati tra i lavoratori delle fasce di età più avanzate, soprattutto tra gli over 50 che – giova ripeterlo – vengono trattenuti al lavoro soprattutto dalle normative previdenziali collegate alla necessità di contenere la spesa pensionistica. Le cosiddette “politiche attive del lavoro” sono un punto debole storico del nostro Paese. Lo scorso anno è stata soppressa l’Agenzia nazionale che si occupava del settore ed è arduo valutare quale sia lo stato dell’arte dopo che le competenze sono rifluite a livello ministeriale. Questo è sicuramente un ambito in cui servirebbero interventi incisivi. E poi su tutto incombe la variabile demografica: non è lontano il momento in cui il numero degli occupati potrebbe scendere per la semplice diminuzione della popolazione in età lavorativa.