Storie
Storie di uomini e nebbie lungo il corso della Brenta
La Brenta scorre lungo il Veneto attraversando diverse province: diventa così la via per osservare i cambiamenti sociali ed economici del territorio circostante
StorieLa Brenta scorre lungo il Veneto attraversando diverse province: diventa così la via per osservare i cambiamenti sociali ed economici del territorio circostante
Il fiume Brenta, o meglio, “la Brenta”, come viene chiamata dai Veneti, nasce a Caldonazzo e sfocia a Sottomarina. Percorre, per 174 chilometri, il cuore della vita del Veneto. La storia degli uomini si è sempre evoluta attorno ai corsi d’acqua, costruendo, attorno ad essi, le attività produttive ed economiche, i modi di stare insieme di una comunità, i gesti quotidiani. È per questo motivo che ho voluto studiare il Brenta, per capire le mie origini e quelle dei veneti che vivono attorno al fiume, la nostra ritrosia a esporci al mondo esterno, la riservatezza iniziale, i legami profondi in un momento successivo, l’incredibile sviluppo economico degli ultimi decenni, passando nel tempo da una delle Regioni più povere a una delle più ricche d’Europa. Il Brenta diventa la via dalla quale osservare: è un viaggio nella religione, nelle pulsioni indipendentiste, nell’importanza del capannone rispetto all’ambiente (un tempo), nel silenzio e nelle conversazioni a bassa voce. Ma è anche esplorare le realtà che si affacciano al mondo, le spinte artistiche e culturali. Negli anni ’50 il Veneto era una Regione prevalentemente agricola, contadina e povera. Nessuno avrebbe scommesso il suo successo nei decenni successivi. La trasformazione industriale ha spinto gli agricoltori a emigrare internamente cambiando il loro ruolo in operai, dando inizio a quella fase conosciuta come “boom economico” del Nord-Est, la cui esplosione cambiò per sempre la vita del Veneto, consolidando concetti come piena occupazione ed economia del territorio. Fra la fine degli anni ’70 e gli anni ’90 il Pil raggiungeva picchi del 10 per cento annuo, attestandosi stabilmente sul 5/6 per cento, permettendo alle persone una vita agiata e favorendo l’idea di aprirsi un’azienda a conduzione familiare. Questa laboriosità si può osservare nelle modifiche che il Brenta ha subito lungo la storia. Le prime bonifiche, a opera dei benedettini, avvennero nel Medioevo, continuate soprattutto dai veneziani fino all’ultima del primo dopoguerra. Venezia ebbe la necessità di controllare i fiumi per impedire l’interramento della laguna, tagliando canali a Dolo e Mira per deviare l’acqua a sud di Chioggia in caso di piena. Anche Padova ebbe un ruolo importante, come nel 13° secolo, quando collegò il canale Piovego al Brenta. È stato un continuo mutamento dell’ambiente fluviale a favore dell’insediamento urbano, del lavoro e della difesa delle città. La vegetazione, lungo gli argini del fiume, è fitta e inesplorata. Come tutti fiumi, il Brenta è frequentato da cacciatori e pescatori, ciclisti e scorribande in motorino di ragazzi alla ricerca di libertà. Durante i mesi autunnali sembra di entrare in un mondo fantastico, con la nebbia a celare ville palladiane, casali abbandonati e personaggi che sembrano uscire da racconti antichi. Le storie che parlano del fiume sono un patrimonio culturale inestimabile. Ogni scorcio, ogni pianta che si è avviluppata e impossessata di antichi muri racconta un pezzo di noi e dei nostri antenati. Sembra di incontrarli i mugnai, i fabbri, i marangoni dell’epoca, ma ciò che vediamo realmente sono i loro pronipoti: artigiani che hanno reso il Veneto così florido, ancorati a una dimensione familiare ma, col tempo, costretti a proiettarsi a un’apertura internazionale, dove il manufatto è tra i migliori al mondo.
Una volta ebbi l’occasione di parlare con un caporedattore del New York Times che mi chiese da dove provenissi. Mi chiese, con mio stupore, come mai non raccontiamo niente delle imprese del Nord Est. «L’upper class di New York acquista continuamente i vostri prodotti. Sono i migliori al mondo ma non sappiamo che storia hanno, chi possiede tale maestria», mi disse. Dopo i primi anni 2000 e la crisi finanziaria del 2008, l’apertura all’esterno sembra essere stata più una necessità che una libera scelta. Se avessero potuto, i veneti, avrebbero continuato come prima. Si lavorava moltissimo, si produceva, si costruiva la casa per i figli, si faceva una parte di “nero”. L’economia rimaneva per gran parte nel territorio: l’auto signorile acquistata nel concessionario del paese, la seconda casa al mare a Isola Verde, Sottomarina o Jesolo, la sponsorizzazione delle società di calcio locali. L’edilizia selvaggia mischiò le aziende e i centri dei paesi, con immobili di dubbia estetica, scotto inevitabile di un’improvvisa ricchezza. La Democrazia cristiana accumulò un capitale sociale fatto di chiese, patronati, associazioni, municipi, sagre, capitelli, conversazioni a bassa voce. Si viveva, per certi versi, una vita più semplice. È un territorio che non si è mai esposto all’esterno, apparendo compatto e chiuso, sospettoso verso gli immigrati pur avendone bisogno in azienda, una versione del leghismo che è diversa dalle altre parti d’Italia, alla ricerca di un’autonomia che cambia continuamente connotati. Una Regione placida in superficie e inquieta nel profondo. Proprio come il Brenta che, nonostante la sua calma, è stato protagonista delle paurose brentane, così come sono chiamate le alluvioni che lo hanno afflitto durante la storia, dissestandone la conformazione idrogeologica. Ancora adesso, con il clima che cambia e concentra abbondanti precipitazioni in pochissimo tempo, ogni volta che la pioggia si sofferma per un paio di giorni, siamo tutti a guardare l’acqua che rasenta gli argini, sperando che non scavalli e che non venga a disturbare la nostra quiete. Strategicamente il Brenta è un fortunato crocevia che collega l’Italia all’Europa. Padova è uno dei nodi viari e ferroviari dal quale partire ed esplorare altri mercati come hanno fatto, per esempio, i mediatori di bestie alcuni decenni fa. Gli artigiani lo hanno intuito e, silenziosamente come al solito, hanno cominciato a reinventare la loro economia attingendo ai fondi della vituperata Unione Europea. Il Por Fesr (Programma operativo regionale cofinanziato dal Fondo europeo di sviluppo regionale,) è uno degli strumenti con i quali il Veneto ha pianificato lo sviluppo economico e sociale nel periodo 2014-2020, inserendosi in un piano di programmazione europea. 600 milioni di euro, tra fondi europei, statali e regionali, hanno finanziato piccole e medie imprese in ambito digitale, dell’innovazione e sostenibilità. Un cambiamento radicale rispetto al modo di intendere l’economia locale nei decenni precedenti, cercando di superare, ad esempio, la questione del cambio generazionale e vedendo, in chi c’è riuscito, la comparsa di multinazionali a misura d’uomo, grandi il giusto per essere guidate familiarmente e collocarsi internazionalmente. Molte aziende, soprattutto di recente attività, sono accorse al Piano per agganciarsi a un mondo che viaggia a velocità altissime, guardando al proprio territorio come parte di una realtà globale, in un periodo in cui la narrazione della globalizzazione è in crisi ma non la sua struttura, guardando al Brenta come via per raggiungere il resto del mondo.
Il Brenta nasce come emissario del lago di Caldonazzo in Trentino e prosegue lungo la Valsugana, nutrito dalle acque carsiche del monte Grappa e dell’Altopiano dei Sette Comuni. In età romana passava per Padova, ma dopo l’alluvione del 589, che sconvolse nel Veneto centrale gli alvei di ben tre fiumi (oltre al Brenta anche Adige, Bacchiglione, Cismon), deviò più a est. Il Brenta attraversa diverse province (Trento, Padova, Venezia, Vicenza, Belluno) e sfocia a Brondolo di Chioggia, trovando sfogo in laguna. La Repubblica della Serenissima arginò, bonificò e cambiò il corso del fiume per adattare il territorio all’insediamento umano e salvaguardare il delicato equilibrio lagunare, costellato di barene utili a trattenere il carbonio e purificare l’aria. Da Fontaniva a Ponte di Brenta il fiume placa la velocità assunta nella zona della Valsugana e di Bassano e, nella storia, ha contribuito a quella che è stata denominata la città diffusa del Veneto, ovvero quel fenomeno che ha portato allo sviluppo economico con la nascita di migliaia di piccole e medie imprese sparse nel territorio e aggregate alle città di Padova, Treviso e Vicenza fino all’inizio della provincia di Venezia.
Fotografo documentarista, i suoi lavori, realizzati in tutto il mondo, sono pubblicati nei più importanti magazines italiani e internazionali. Collabora con Ong per reportage editoriali in ambito cooperazione. Info: www.andreasignori.it
Andrea Signori