La scorsa settimana a Parma – in occasione del 24° Congresso nazionale della Società italiana di riabilitazione neurologica (Sirn) – si è parlato anche di intelligenza artificiale applicata alla pratica clinica.
Già oggi, un fisiatra può chiedere a un assistente virtuale di elaborare una relazione clinica personalizzata, basata sulle parole dette durante una visita. Un medico può utilizzare un modello di intelligenza artificiale per prevedere, con buona accuratezza, quanto recupero sarà possibile dopo un ictus. Un’équipe può analizzare mesi di diario clinico narrativo di un paziente ricoverato, ottenendo un quadro sintetico ma dettagliato. «Non saper usare questi strumenti oggi significa accettare una forma di depotenziamento – ha spiegato Mauro Zampolini, past-president della Sirn – Perché le potenzialità sono enormi, ma vanno comprese e guidate con consapevolezza». Durante il “precorso” formativo che ha aperto il congresso, è stato mostrato come l’intelligenza artificiale possa aiutare anche nella ricerca scientifica, generando bibliografie ordinate, raffronti tra linee guida, stesure di progetti per enti finanziatori. Un altro esempio? Il confronto tra due protocolli riabilitativi può essere automatizzato: si caricano i documenti nel sistema, si indicano le priorità e viene prodotta una proposta aggiornata e coerente con le nuove normative regionali. Un’intelligenza artificiale non è infallibile. Ma può apprendere, adattarsi, e – se ben addestrata – rispondere con precisione anche a quesiti specialistici. Non per sostituire i professionisti, ma per affiancarli. «Possiamo personalizzarla – ha detto Zampolini – per renderla esperta dei nostri documenti, del nostro reparto, del nostro modo di lavorare». Il rischio è che possa “impigrire” i medici come ha impigrito gli studenti con i compiti a casa. Ma l’alternativa – non usarla affatto – sa di rifiuto della realtà.
Andrea Canton Giornalista, fa parte di Weca-Webcattolici Italiani
