Nel panorama musicale italiano, sempre più dominato da suoni ripetitivi, testi superficiali e produzioni standardizzate, le parole di Manuel Agnelli – frontman degli Afterhours e figura centrale dell’alternative rock – emergono come una dichiarazione di resistenza. In recenti interviste, l’artista ha puntato il dito contro l’attuale industria musicale, denunciando un profondo appiattimento culturale e auspicando una nuova rivoluzione artistica, capace di rompere schemi e convenzioni. Agnelli è diretto, quasi brutale nella sua analisi: «Negli ultimi vent’anni in Italia cinque produttori e cinque autori hanno fatto la maggior parte delle canzoni. Infatti, sono tutte uguali». Un’accusa che getta luce su un sistema che, da tempo, ha sacrificato la ricerca artistica in favore di commercializzazione, visualizzazioni e logiche di mercato. Oggi, secondo Agnelli, la musica è spesso concepita per soddisfare gli algoritmi delle piattaforme digitali più che per emozionare chi ascolta. Le canzoni seguono quindi formule rigide, costruite per essere virali e facilmente condivisibili, ma prive di profondità e autenticità. In questo schema, creatività e individualità vengono soffocate, mentre i giovani artisti si ritrovano imprigionati in una corsa al successo immediato, che il più delle volte non lascia spazio alla loro crescita artistica e alla loro maturazione personale. La musica si fa specchio della globalizzazione: canzoni senza radici, suoni omologati, estetiche intercambiabili. L’obiettivo? Piacere a tutti, ovunque. Ma spesso senza dire davvero nulla. In questo scenario, la diversità rischia di diventare un limite, un ostacolo alla commerciabilità, una nota stonata in uno spartito troppo perfetto. Ma ciò che colpisce è l’autocritica amara che Agnelli rivolge alla propria generazione, colpevole – a suo dire – di non aver saputo trasmettere ai più giovani il valore dell’indipendenza, dell’auto produzione e del pensiero critico. Un fallimento che ha lasciato i nuovi artisti senza strumenti per orientarsi, rendendoli ancora più vulnerabili alle dinamiche delle grandi etichette, degli sponsor e del monopolio dei produttori, dettati dalle mode effimere. Non si può ignorare una certa contraddizione però: per anni Agnelli è stato volto noto di X-Factor, vetrina della stessa musica commerciale, che oggi attacca con tanta decisione. Ma forse proprio questa apparente incoerenza rivela una strategia più profonda: quella di conoscere il sistema per poterlo realmente mettere in discussione. E infatti Agnelli non si arrende! Il 24 maggio, durante la ventesima edizione del Festival dell’Economia di Trento, insieme al cantautore Giovanni Succi, ha lanciato “Carne Fresca”, un’iniziativa dedicata ai giovani artisti tra i 15 e i 30 anni. Lontano dagli algoritmi, il progetto punta a sostenere nuovi talenti in modo concreto, con un percorso formativo e artistico che predilige la crescita lenta, autentica e consapevole. In un momento storico in cui tutto sembra appiattirsi, l’invito di Agnelli è chiaro: recuperare la sostanza, l’identità e il coraggio di essere scomodi, ripartendo dalla formazione. The show must go on, cantavano i Queen e, forse, la vera sfida è nelle mani di chi saprà restituire alla musica la sua essenza originaria: quella che nasce dall’anima e parla al cuore, non solo al mercato.