Storie
Nel giardino di un piccolo asilo alla periferia di Hiroshima, la mattina del 6 agosto 1945, una giovane suora padovana sente suonare le sirene. Guarda in alto: un solo aereo, un silenzio irreale. Poi, una luce abbagliante, il cielo che si tinge di colori innaturali, l’aria che esplode. È la prima bomba atomica della storia. Suor Marie Xavier, al secolo Eleonora Saccardo Rasi, si rifugia con le consorelle all’interno dell’edificio, mentre intorno tutto crolla. Sopravvive. Quando riesce a uscire, trova una città trasformata in un inferno: persone ustionate, sfigurate, che si trascinano verso il fiume in cerca d’acqua, corpi ovunque. La religiosa inizia a prestare aiuto. In molti casi non può fare altro che accompagnare alla morte chi non ha più speranza. Ma resta. Cura, consola e testimonia la fede. La giovane suora era originaria di Padova, figlia di una famiglia nota in città: il nonno fu direttore dell’Orto Botanico. Partita come missionaria in Giappone, si trovò testimone diretta di una delle tragedie più grandi del Novecento. La sua storia fu raccolta dal giornalista Virgilio Lilli nel libro Penna vagabonda e poi a lungo dimenticata. Oggi, a 80 anni da Hiroshima, grazie all’impegno del Dipartimento di prevenzione dell’Ulss 6 Euganea, torna a essere raccontata. «Durante la preparazione della nostra plenaria annuale – spiega il dottor Luca Sbrogiò, direttore del Dipartimento – ci siamo imbattuti quasi per caso in questa figura. Una sopravvissuta padovana alla bomba atomica: un simbolo potente, che meritava di essere riscoperto. Abbiamo sentito il dovere di far conoscere la sua storia, non solo all’interno del nostro Dipartimento ma a tutta la cittadinanza. È una testimone straordinaria». Il Dipartimento, in sinergia con il Comune di Padova, ha deciso di rendere omaggio a suor Marie Xavier e, attraverso di lei, ricordare un principio fondamentale indicato anche dall’Organizzazione mondiale della Sanità: la pace è il prerequisito della salute. «Il nostro lavoro – prosegue Sbrogiò – riguarda anche la protezione della popolazione dalle radiazioni, naturali e artificiali. Ci occupiamo dell’autorizzazione di apparecchiature radiologiche, del controllo ambientale, come avvenne dopo Chernobyl. Ma è importante ricordare che la salute non è solo assenza di malattia. Richiede un tetto, cibo, istruzione e lavoro. E prima di tutto la pace».
Dopo l’esplosione, suor Marie Xavier cominciò a manifestare i sintomi tipici dell’esposizione alle radiazioni: perdita di capelli, affaticamento, debolezza. Segni di un danno al sistema ematopoietico. Eppure il suo organismo reagì. Guarì. E tornò subito ad aiutare. Camminò tra le macerie, offrì conforto, partecipò alla ricostruzione morale e materiale della città. «Non potevamo fare nulla – raccontò anni dopo – ma restava la possibilità di dire una parola, di stringere una mano». In una lettera inviata nell’autunno del 1945 alla sua madre superiora, scrisse con straordinaria lucidità di quei momenti: il cielo diventato verde e blu come una foto al magnesio, le finestre e i tetti volati via, il caldo che prosciugava gli stagni all’istante. Raccontava come, nonostante la casa si stesse sbriciolando, loro vi rientrarono d’istinto – «per ispirazione del Buon Dio» scriveva – e fu proprio quello a salvarle dalle ustioni. In poche righe, lasciava impressa per sempre l’immagine della devastazione e della grazia. Il Dipartimento ha scelto di riportare alla luce questa storia anche perché mostra che la cura non si esprime solo attraverso strumenti medici ma anche nella vicinanza, nella parola detta al morente, nella compassione umana. E perché dimostra che anche dai momenti più bui può nascere una testimonianza di speranza. «Con la guerra – dice Sbrogiò – tutto è perduto e nulla si guadagna. A pagare sono sempre gli innocenti: bambini, persone comuni, chi andava semplicemente a scuola o al mercato. Suor Marie Xavier ha visto il peggio eppure ha continuato a costruire il bene per cinquant’anni. Questo è il messaggio che vogliamo raccogliere e trasmettere». Marie Xavier non è tornata in Giappone. Ha vissuto in Italia fino alla fine dei suoi giorni, dedicandosi all’educazione, all’assistenza, alla pace. Non cercava visibilità. Ma lasciò un’impronta profonda. Una voce gentile, come la chiamavano, che seppe curare con le parole, con la presenza, con la dignità del suo silenzioso esempio. Morì nel 1994, a quasi 89 anni. Oggi, nel suo nome, il Dipartimento di prevenzione rinnova il proprio impegno. Non solo nella protezione sanitaria ma, anche, nella promozione di una cultura della pace, convinto che ogni gesto di cura, piccolo o grande che sia, possa contribuire a rendere più giusto e più sano il mondo in cui viviamo.
Penna vagabonda, pubblicato per la prima volta nel 1953 dalla Società editrice internazionale, è un libro di viaggio, ma anche un diario intimo e un raro esempio di giornalismo autentico. Attraverso quattro tappe – Giappone, Stati Uniti, Europa e Cina – l’opera racconta il mondo con occhi attenti e cuore aperto. La narrazione si apre in Giappone, che l’autore esplora con profondo rispetto, descrivendone il fascino, le contraddizioni e la cultura, tra tradizione e modernità. A scrivere questo reportage è Virgilio Lilli, giornalista e scrittore italiano, inviato speciale fin dal 1935 che ha vissuto in prima persona i grandi eventi della storia.
L’associazione Beati i costruttori di pace promuove due appuntamenti per ricordare le due bombe atomiche: il 6 agosto a Padova alle 8 a Palazzo Moroni (per ricordare la bomba delle 8.15). Il 9 agosto alle 10 ad Aviano, davanti alla Base (per ricordare la bomba delle 11.02).