Lo Zecchino d’oro ci ha abituato a canzoncine simpatiche sul mondo dell’infanzia, sottolineando aspetti di vita reali e facendoci sorridere con rime semplici e immagini simpatiche. Ma quando genitori ed educatori siamo in mezzo ai litigi dei bambini non sempre l’ironia aiuta a smussare gli angoli spigolosi che si creano. Quando abbiamo una giornata faticosa, stressante, nella quale le nostre energie sono minori e la complessità del nostro quotidiano eccede, l’unica cosa che vorremo è un po’ di pace. E invece, no!
Torniamo a casa e il più piccolo e impercettibile atteggiamento diventa il pretesto per un litigio tra i nostri figli. Oppure siamo in patronato, alla fine di un incontro con i ragazzi e un pallone diventa il divisore per eccellenza tra un gruppo e un altro. O, alla scuola dell’infanzia, siamo – come educatori – preparati a gestire l’ingestibile, ma ai litigi proprio non sappiamo che valore dare.
Pretesti sciocchi, attimi fugaci, sguardi biechi, una parola di troppo o semplicemente una fantasia irrealizzata sono alla base di una disarmonia che sfocia in grida, botte e pianti. E noi? Siamo gli adulti che devono intervenire per sedare, trovare un responsabile, a volte giudicare e poi punire chi, secondo la nostra insindacabile sentenza, si è macchiato del più grandi dei reati.
Ecco proviamo a modificare quest’ultima parte. Di certo non potremo prevenire i litigi e neanche chiedere ai bambini di non litigare, perché litigare è un passaggio indispensabile per crescere; è come chiedessimo loro di non crescere! Quindi l’unica possibilità di intervento non è sui bambini, ma su noi adulti che viviamo con loro. Tutti sappiamo il senso di frustrazione che si vive in uno scontro, il senso di ingiustizia e a volte di paura che si prova; immaginiamoci di tornare piccoli, senza le armi del dialogo e della lungimiranza: l’unica cosa che faremmo sarebbe arrabbiarci, urlare, piangere.
Queste reazioni attivano in noi una sorta di radar spinto dall’iper-controllo che gestisce le nostre relazioni in questo contesto storico e siamo mossi a chiedere subito: cos’è successo, chi è stato? Il dito va puntato su qualcuno, la colpa deve essere attribuita e il conflitto represso nel nascere; la soglia di tolleranza emotiva rispetto ai litigi dei bambini è molto bassa, perché dipende dai nostri vissuti e dalla paura che scatenano in noi; dipende con che occhi li vediamo e con quanta assertività li viviamo. L’assertività è una caratteristica del comportamento umano che consiste nella capacità di esprimere in modo chiaro ed efficace le proprie emozioni e opinioni, senza offendere né aggredire l’interlocutore. Qui non si parla in prima battuta delle emozioni dei bambini, ma delle emozioni di noi adulti di fronte a un conflitto nascente.
Se noi adulti avessimo questa capacità, anche i piccoli crescerebbero nella consapevolezza che ci sono modi diversi di intervenire; modi per abbassare la tensione del conflitto senza arrivare allo scontro ma alla mediazione del risultato. Il sociologo affermava: «Non è vero che la felicità significhi una vita senza problemi, la felicità deriva dal superamento dei conflitti, dalla risoluzione delle difficoltà».
Educare al conflitto vuol dire darne un valore, un significato diverso rispetto a quello che ne diamo; l’armonia che si vorrebbe tra bambini deriva dall’errata convinzione per cui la relazione solida esiste solo in assenza di conflitto e questo come sappiamo è falso.
Educare al conflitto vuol dire aumentare i fattori protettivi dello sviluppo, perché litigando i bambini imparano ad affermare se stessi e a considerare l’altro come una persona degna di incontro, come un’occasione di crescita, che non affronto ma con la quale mi confronto.