La notizia è quasi ufficiale: dal 2026, il 4 ottobre festa di san Francesco di Assisi, patrono d’Italia, soppressa immotivatamente e ideologicamente nel 1977, tornerà a essere la festa degli italiani. Un annuncio che a pochi giorni dalla ricorrenza religiosa – Francesco moriva infatti la sera tra il 3 e 4 ottobre 1226 – è da anni solo un lontano ricordo, ha smosso positivamente la coscienza nazionale intera. I più dicendo: «Era ora!». Altri che «sarà un giorno di festa in più», senza però sapere che l’anno prossimo il 4 ottobre cadrà di domenica e quindi la festività entrerà in vigore in formula piena, solo a partire dal 2027.
«Ben svegliata Italia», verrebbe da dire, visto che non stiamo parlando di una figura qualsiasi, ma del fondatore della stessa lingua italiana. Bene, oggi che la commemorazione di quel Giovanni Francesco di Bernardone (san Francesco) torna a essere festa nazionale, questo non significa che gli italiani conoscano il loro santo nazionale. Nei secoli la sua figura in particolare la sua storia, è stata opacizzata da vari interessi, fino a confinarla nella “soffitta della memoria nazionale”, mentre da tre anni i francescani stanno celebrando la sua figura. Non si tratta di un’operazione di “restayling” perché – si è capito – con Francesco di Assisi questo non funziona. Certo dal 2023 assistiamo a vari anniversari francescani: la nascita del presepio. Poi le stimmate (2024). Ancora, la stesura del Cantico di Frate Sole (1225). E nel 2026, l’ottavo anniversario della sua morte (1226). Ma se un risultato dopo tutte queste scadenze ci deve essere, quella è la resuscitata festa nazionale, come segno e senso di dignità storica nazionale, rimasta per troppo tempo un’onta per tutti gli italiani. È vero che Francesco resta il più santo tra gli italiani, ma è anche vero che la sua figura piace anche all’altra parte degli italiani, quella laica. Sotto il suo nome ed esempio, continua ad animare quel cantiere nazionale di unificazione nazionali, di cui siamo ancora orfani. Lo si fa a partire dalla lingua ufficiale che viene da quel “vulgare” umbro-toscano del 1200 che dopo l’utilizzo che ne fa Francesco con il Cantico, nel giro di pochi decenni (Dante sarebbe arrivato ottant’anni dopo Francesco), diventerà il primo collante della nostra Nazione nascente. Parliamo di otto secoli fa!
Un precursore certo, ma non solo della lingua, ma anche del pensiero, della filosofia e della stessa sociologia. Dopo Francesco, ha cambiato la società, e in questo senso ha cambiato gli italiani di allora e forse potrebbe farlo anche con quelli di oggi. Noi oggi viviamo di quel riflesso di vita medievale mostrato da Francesco: ma con più ignoranza! Sì, ignoranza nazionale che resta imperdonabile verso il padre della Patria come Francesco si è mostrato. Nelle università, nelle scuole di primo e secondo grado, come pure dentro chiese e conventi, la sua figura viene presentata con un’ora di lezione al massimo, quando va bene. Viene spiegato ai ragazzi con un paio di stringate note biografiche, condite magari con qualche banale curiosità (scarsamente storica), con cui Francesco è stato rivestito nei secoli, anche per una certa volontà ecclesiastica. Viene poi fatta la parafrasi del Cantico, come leggere una poesia poco prima di addormentarsi. Spiegata la sua morte come un mero dato anagrafico. Questo è il Francesco per la stragrande maggioranza degli italiani di oggi. Un illustre “sconosciuto”, capace sì di portare turisti (noi compresi) da tutto il mondo ad Assisi e in Umbria, ma altrettanto forte da compiere ancora una rivoluzione all’interno della Chiesa, come si è visto con papa Bergoglio che ha adottato per la prima volta nella storia il nome stesso di “Franciscus”. Così noi il 4 ottobre torneremo a fare festa nel nome di Francesco, senza immaginare l’effetto balsamo che lui continua a esercitare nell’unificare questa Italia che non credo si possa dire tale, nell’intimo della sua anima. Se già allora Massimo D’Azeglio ebbe da dire all’alba della Patria: «Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli Italiani». Quello che ancora non si vede, se non parzialmente, è il lavoro che serve per “fare gli Italiani”, costantemente frammentati su tutto e campanilisti su molto.
Certo, siamo il “Bel Paese” come tutti ci riconoscono, ma la nostra storia ci dice anche che restiamo “isole regionali e linguistiche”, con sfumature diverse ed estremismi politici che non sempre hanno portato (o portano) beneficio all’unitarietà. Francesco invece resta quello di sempre. Un “padre della Patria” religiosa e laica. Per questo un vero unificatore! Come quando usa quel potente “cum” con tutte le creature, ignorato da un Trump moderno che invece punta a cancellare i rischi dei cambiamenti climatici globali, con molti nostri politici che gli tengono il mantello. Francesco è ancora là, nel suo sarcofago di pietra nella cripta della basilica inferiore d’Assisi da otto secoli, mentre il suo spirito è libero più che mai di scorazzare per l’Italia. Francesco è un giovane tra i giovani, che magari ignorando la storia non immaginano come i loro saluti “brò” o “fra”, arrivino da quell’antica lingua francescana, come pure i “fratelli e sorelle”. Che gli stessi vestiti che indossano, felpe e jeans stracciati, sono segni francescani.
Noi crediamo che ripristinare il 4 ottobre come festa nazionale, sia un favore che facciamo a Francesco di Assisi. Mentre per tutti i motivi sopraccitati, è un grande favore che facciamo a noi stessi e all’Italia intera. Perché anche solo dire “Francesco di Assisi” sentiamo una ventata di libertà. E quello che non sta facendo la scuola, la cultura, la religione, continua a farlo lo spirito francescano serpeggiante della nostra storia, che ci vuole liberare dal superfluo e banalità, per portarci a scoprire le verità della semplicità. Ecco perché il “4 ottobre” sarà la seconda festa della Liberazione.