Mangiare non è mai solo nutrirsi. Soprattutto non lo è per gli adolescenti, per questi ultimi infatti il cibo rappresenta un linguaggio attraverso cui si costruiscono identità, relazioni e appartenenze. Nel caso in cui le scelte alimentari siano condizionate da deprivazione economica, il disagio di “non poter avere” un certo tipo di cibo esplicita consequenzialmente la sua “multidimensionalità”, ovvero il suo impatto con la vita sociale e relazionale dell’adolescente. A essere compromessa, infatti, è la “libertà di scegliere” di condividere un pasto con i coetanei, ad esempio, di partecipare a feste, o altri eventi. Questa esclusione “forzata” si traduce spesso in vissuti di vergogna e inadeguatezza che incidono sul benessere complessivo.
“Il malessere invisibile di non poter scegliere. Secondo rapporto su adolescenti e povertà alimentare in Italia” è il titolo del dossier realizzato da ActionAid insieme all’Università degli Studi di Milano e Percorsi di Secondo Welfare nell’ambito del progetto DisPARI. Al centro della ricerca le voci di ragazze e ragazzi nelle aree metropolitane di Milano, Roma e Napoli. In essa viene evidenziato come la deprivazione alimentare possa diventare “una lente attraverso cui leggere disuguaglianze più profonde, che si intrecciano con le fragilità psicologiche, le aspettative familiari e le pressioni sociali tipiche dell’adolescenza”.
Il dossier di ActionAid è inserito all’interno di un progetto che persegue quattro obiettivi principali. Il primo è elaborare una solida concettualizzazione della povertà alimentare negli adolescenti, riconoscendone la natura complessa e il disagio psicologico. Il secondo è sviluppare e validare empiricamente il Food Poverty-related Emotional Distress for Adolescents (FoPEDA), un nuovo strumento di misurazione in grado di rilevare e quantificare il disagio emotivo legato alla difficoltà di accesso al cibo. Il terzo obiettivo consiste nel mappare e valutare, da una prospettiva “dal basso”, le strategie locali di contrasto alla povertà alimentare. Infine, il progetto mira a tradurre le evidenze raccolte in raccomandazioni e linee guida rivolte a decisori politici e operatori del terzo settore, per promuovere risposte più efficaci e innovative, capaci di affrontare le dimensioni materiali, sociali e psicologiche della povertà alimentare.
In adolescenza – viene sottolineato nel dossier – l’alimentazione rappresenta uno spazio quotidiano dove convivono desideri, regole, gusti personali e rituali collettivi. “Attraverso il cibo, i/le ragazzi/e esprimono preferenze, rifiutano imposizioni, seguono abitudini di famiglia e si confrontano con le norme scolastiche. L’alimentazione, in questo senso, diventa un ambito in cui si bilanciano quotidianamente autonomia e regolazione”. Si tratta, quindi, di un terreno educativo da non sottovalutare.
Il cibo, con tutto ciò che rappresenta, può diventare un filtro attraverso cui leggere sentimenti di vergogna, rabbia, tristezza, imbarazzo e preoccupazione, ma anche capacità di adattamento e riorganizzazione. I ragazzi che vivono e si confrontano quotidianamente con restrizioni, molti di essi interiorizzano la scarsità come abitudine, quasi come regola: mezze porzioni, piatti più semplici, spinacine e verdura al posto del ragù. Nelle interviste contenute del dossier, qualcuno afferma: “Non mi arrabbio giusto per il fatto che, appunto, se non posso farlo… Anche se mi arrabbio non cambia le cose”. Alcuni/e evitano di chiedere soldi ai genitori: “Piuttosto sto a casa a giocare alla play”. Non è timidezza o dipendenza dai videogames, ma la consapevolezza che i soldi in famiglia non bastano e quindi meglio non insistere. Altri/e si inventano scuse con gli/le amici/che pur di non dire che non possono pagarsi un panino o una cena: “Dico che ho impegni, non che non ho soldi”.
Ci sono poi gli inevitabili confronti con i coetanei/e: compagni/e che vanno spesso al fast food, che fanno shopping, o si concedono più uscite.
Nel rapporto si parla anche delle emozioni legate agli aiuti alimentari delle associazioni, che gli/le adolescenti conoscono e descrivono come una delle strategie per arrivare a fine mese: un supporto percepito come necessario, ma non sempre vissuto con vergogna. Per qualcuno/a ricevere quel sostegno non è mai stato un problema, anzi una certezza. Per altri/e resta un nodo emotivo più complesso.
Per sostenere davvero gli adolescenti, spiega ActionAid, occorre andare oltre la sola distribuzione di cibo. Esperienze già in campo – mense scolastiche inclusive e progetti di quartiere – mostrano che coinvolgere scuole, famiglie e comunità restituisce ai ragazzi un ruolo attivo e uno spazio di crescita. Servono interventi capaci di agire sulle diverse dimensioni della povertà alimentare, che non riguarda solo chi vive in gravi condizioni di deprivazione, e sul benessere. Serve un welfare più forte, capace di garantire diritti e non solo di rispondere ai bisogni.