Qualche giorno fa, il parlamento europeo ha decretato che un hamburger che non è fatto di carne non può essere chiamo hamburger. Ha dovuto, cioè, intervenire con un atto legislativo per ribadire ciò che appare scontato al senso comune. Ottimo.
Ma, che cosa definisce un hamburger? La forma? Il sapore? Il profumo? Di fatto sono queste le caratteristiche con cui lo riconosciamo nella pratica quotidiana. Ebbene, le caratteristiche organolettiche e visive non aiutano più: i così detti hamburger vegetali assomigliano in tutto e per tutto a quelli di carne; per certi versi sono anche più salutari.
Anche la composizione non ci viene in aiuto più di tanto. La lista sorprendente degli ingredienti di un hamburger classico di un diffusissimo supermercato recita: carne di bovino adulto 91%, acqua, fiocchi di patate (patate disidratate, emulsionante: mono- e di-gliceridi degli acidi grassi), fibra vegetale (pisello, agrumi, carota, bambù), sale, rosmarino, aglio, salvia, pepe, cipolla, estratti di lievito, aromi naturali, destrosio, correttori di acidità: lattato di sodio, citrati di sodio, acetati di sodio, antiossidante: acido ascorbico. La domanda, che già sfugge al senso comune abbastanza inorridito dalla lista, chiede di essere riformulata: Quanta carne ci vuole perché un hamburger di carne possa essere chiamato hamburger?
La complessità della realtà che la legislazione deve comprendere e giustamente regolare a difesa del cittadino, è enormemente cresciuta nell’era del sintetico (cioè della capacità tipica della società industriale di realizzare qualcosa che non esiste direttamente in natura) e del digitale.
Qualche anno fa uno dei più grandi studiosi di questo tema, l’italo-britannico Luciano Floridi, ha scritto un testo intitolato Onlife manifesto, in cui descrive molto bene ciò che la trasformazione digitale sta producendo. Secondo Floridi stanno accadendo quattro passaggi:
1. lo sfocamento della distinzione tra realtà e virtualità;
2. lo sfocamento delle distinzioni tra uomo, macchina e natura;
3. il passaggio dalla scarsità di informazioni all’abbondanza di informazioni;
4. il passaggio dal primato delle entità al primato delle interazioni.
L’avvento dei sistemi di intelligenza artificiale ha amplificato enormemente questo sfocamento: abbiamo macchine che sembrano parlare e ci ringraziano, e siamo inondati di fake news davvero difficili da smascherare. La perplessità è giustificata, così come lo smarrimento davanti a una enormità ingestibile di notizie e di interazioni sui social che sembrano determinare ciò che è vero a colpi di like.
Qualcuno sbraita contro questo tempo perverso e ricorda con nostalgia il passato in cui il nero era nero e il bianco era bianco. Già, ma che bianco era il bianco di una volta? Panna, ghiaccio, titanio, ottico, lino? La tabella ufficiali dei colori ne indica almeno 15 e quello chiamato puro è descritto come caldo e avorio.
Se in nostro mondo è più complicato non è perché governato da chissà quale setta malvagia che vuole la distruzione dell’umanità, ma perché abbiamo imparato a conoscerlo meglio, a nominare 15 tipi di bianco, a riconoscere i dettagli. Gli eschimesi, che di neve se ne intendono, hanno 21 parole per definirla. Siamo un’umanità esperta.
Questa capacità di dettagliare può risultare faticosa nella vita quotidiana, fin quasi inutile talvolta, ma ha permesso grandi risultati in tutti i campi del sapere, con un incredibile miglioramento della vita umana e di questo pianeta.