Dove eravamo rimasti? Avevamo lasciato Fabio Bui nel 2022, al termine del suo mandato di presidente della Provincia di Padova, e lo ritroviamo oggi candidato presidente della giunta regionale per i Popolari per il Veneto. Contemporaneamente Bui è capolista in cinque circoscrizioni su sette: a Venezia svetta l’ex leghista Gabriele Michieletto, mentre nel Bellunese ci prova l’autonomista Massimo Vidori. L’esenzione dalla raccolta delle firme l’ha garantita Terra Veneta, componente politica del gruppo Misto che fa capo a Michieletto e a Fabiano Barbisan.
Bui, il suo curriculum è bello fitto.
«Sì, io sono stato dal 2018 al 2022 presidente della Provincia, dopo aver avevo fatto per un quadriennio il vicepresidente. Per dieci anni sono stato sindaco del mio paese (Loreggia, ndr) e ancor prima, per dieci anni, avevo fatto il vicesindaco. Ho fatto anche, per due mandati, il presidente della Conferenza delle autonomie locali del Veneto. La passione politica, peraltro, l’ho sempre avuta. Fin da quando partecipavo ai gruppi degli scout. Adesso sfido i padovani a dirmi chi siano i deputati che li rappresentano in Parlamento».
Lei una volta era iscritto al Partito democratico?
«Io sono stato ancheiscritto al Pd. Però da quando ho avuto incarichi istituzionali non ho mai fatto vita di partito. In Provincia ero l’unico presidente d’Italia che non aveva l’opposizione: tutti si erano riconosciuti in me. E in Comune a Loreggia non c’è mai stata conflittualità. Chi amministra la cosa pubblica non dev’essere un tifoso, altrimenti non rimane collegato al pianeta terra. Il giorno dopo che ho terminato il mio servizio politico in Provincia, sono tornato al mio lavoro all’Ulss 6. A mio avviso occorre che ogni politico abbia un posto di lavoro che lo attende a fine mandato: se non ha un impiego, poi accetta tutti i compromessi possibili e immaginabili per mantenere la poltrona. Oggi abbiamo tante persone che scambiano la politica per un lavoro. Dieci anni in un incarico sono più che sufficienti per realizzare i progetti che uno ha trovato e per impostare quello che finiranno gli altri. Quando un politico si lega a uno scranno, siamo alla negazione della politica».
Bui, come mai si è inventato un partito regionale?
«Credo che oggi i partiti nazionali facciano tante strategie di consenso, ma nessuna strategia di risoluzione dei problemi. La campagna elettorale 2025 è impostata sul sociale, ma perché allora in questi anni non si è investito su questo tema? Zaia parla oggi della Cdu alla bavarese, che avrebbe potuto costituire in 24 ore quando poteva decidere tutto da solo perché non aveva Salvini ad ostacolarlo. Un anno e mezzo fa in Veneto con un gruppo di amici abbiamo cominciato a immaginare un partito legato al territorio che avesse come modelli di riferimento Cdu e Volkspartei, ma nessuno ci ha mai ascoltato. Se Zaia, prossimanente, vorrà costituire seriamente un partito regionale, mi avrà al suo fianco. Noi ci rifacciamo al popolarismo, che era alla base del pensiero di don Sturzo».
Nelle liste dei Popolari per il Veneto c’è anche il mondo autonomista.
«Non è la Lega che ha inventato l’autonomia regionale, ma la Democrazia cristiana. Poi l’autonomia è stata coniugata male, ma i primi autonomisti sono stati proprio i leader democristiani, quando la Prima Repubblica era una cosa seria. Sì, nelle nostre liste schieriamo anche il mondo autonomista, non secessionista. Noi vogliamo che al Veneto venga garantita una quota adeguata delle risorse prodotte nella nostra regione. Non vogliamo che ci venga imposto da Milano o da Roma quello che deve essere deciso nel Veneto. Compresi i candidati alla presidenza, che sono stati imposti da Roma: sia nel caso di Stefani e in parte anche con Manildo. Io sono convinto che il prossimo consiglio regionale avrà bisogno anche di presenze moderate, come la nostra, che diano contenuti alla politica».
Ma perché non avete fatto l’accordo con altre formazioni che si professano centriste, come l’Udc di De Poli o Noi Moderati di Lupi?
«Perché siamo diversi dai partiti nazionali. Noi siamo un partito veneto. Noi vogliamo dare risposte, concretamente, al Veneto. Vogliamo confrontarci, ragionare. Quando sono ospite in tv, nei corridoi, mentre mi avvicino allo studio, mi dicono: “Devi litigare”. Ma come litigare? Ma se non so nemmeno chi sia il mio avversario. La politica però oggi non ha bisogno di audience, ha bisogno di sobrietà».
I Popolari per il Veneto resteranno in campo anche dopo le Regionali?
«Certo, le Regionali sono il primo banco di prova. Perché chi fa politica deve misurarsi anche con il consenso. Il 25 novembre noi ci saremo e andremo avanti. Per questa prima uscita abbiamo avuto poco tempo a disposizione. Ma volevamo dare ai veneti l’opportunità di poter scegliere persone che vogliono dare risposte a questo territorio. Non esito a dire che qualcuno, alla vigilia delle elezioni, passando da un partito autonomista al partito più centralista che c’è, e mi riferisco a Fratelli d’Italia, ha fatto un salto mortale che un tempo non si vedeva nemmeno al Circo Orfei».
La sua è una campagna sassai obria.
«È tanta la sproporzione di risorse: non dico delle idee ma dei mezzi economici in campo. In queste settimane vedo stanziamenti per la campagna elettorale che io francamente ritengo inconcepibili. In queste ultime settimane mi sono fatto l’idea che non è che la gente non abbia più voglia di politica. La gente invece è nauseata da una politica che non risponde più ai bisogni concreti. Un tempo, con l’80% dei votanti, si parlava di astensionismo elevato. Stavolta, se andrà alle urne meno del 50% degli aventi diritto, verrà certificato il fallimento della classe dirigente che ha governato».