È l’unico che si è dovuto sudare le firme necessarie per la presentazione della lista alle elezioni Regionali. Riccardo Szumski, 73 anni, già sindaco di Santa Lucia di Piave nel Trevigiano, è il candidato presidente di Resistere Veneto con Szumski, formazione trainata sulle schede del 23-24 novembre da quasi 30 mila autografi di cittadini veneti.
Szumski, ci racconta questa cavalcata a caccia di firme?
«È stata una bellissima sfida. La nostra lista ha riscontrato un grande entusiasmo, grazie all’impegno di tanti volontari. I cittadini hanno fatto la fila per venirci a sostenere; tanti avvocati sono corsi a destra e a sinistra, gratuitamente, per certificare le firme. Abbiamo raggiunto l’obiettivo, e non era proprio così scontato. Probabilmente rappresentiamo, per una quota di cittadini, una novità e, mi permetto di dire, una speranza. Noi siamo la terza opzione rispetto a Stefani e a Manildo».
Poi avete rischiato di essere esclusi per aver inserito nel contrassegno elettorale il “Leone in moeca”, che qualcuno vi aveva accusato di aver copiato.
«Un simbolo storico, che non è di nessuno, che non è marchiabile. La legge prevede che possa essere tranquillamente utilizzato. Anche al Tribunale di Venezia ci volevano annullare delle firme perché mancava un timbro, anche se oggi gli avvocati firmano digitalmente».
In queste settimane i candidati delle varie liste presidiano sagre, feste, mercati e mercatini per farsi conoscere dagli elettori.
«Ognuno fa quello che vuole. Noi però sono due anni che battiamo il Veneto palmo a palmo. Abbiamo fatto, con grande partecipazione, tante riunioni da cui abbiamo tratto il nostro programma. Abbiamo chiesto alle persone di esprimere le loro preoccupazioni, relativamente a quelle che sono le competenze della Regione».
Al centro della proposta politica di Resistere Veneto c’è la difesa della sanità pubblica.
«Io, come medico di famiglia, provengo proprio da lì. Me ne sono accorto, già mentre lavoravo, che c’era uno smottamento. Da quando, poi, hanno fatto Azienda Zero, che è una trasformazione di governance della sanità, si pensa principalmente al risparmio e vengono meno l’efficacia del servizio e la qualità dello stesso. Nel contempo conta sempre meno il destinatario del servizio sanitario, ovvero la persona. Beninteso: noi siamo d’accordo che ci sia un’attenta valutazione delle risorse, che non sono infinite. Ma non possiamo mica sottostare completamente all’economia, per cui sono stati chiusi reparti e ospedali ed è stata introdotta ulteriore burocrazia: le liste d’attesa sono frutto di questo. Non sono stati assunti i medici, quando si poteva, solo per fare risparmio. E sulle borse di studio non è che la Regione si sia proprio attivata per formare medici specialisti da mandare negli ospedali, dove mancano in primis ortopedici e chirurghi. Per non parlare dei medici di famiglia, un ruolo che non è appetibile per quello che si deve fare rispetto ai soldi che si portano a casa. Poi è anche vero che tanti medici preferiscono fare gli impiegati. Ma io, che prima lavoravo in ospedale, ho preferito fare il medico di famiglia nel mio paese per essere io il primario che curava i suoi assistiti. Siamo per la libertà e per la difesa dei diritti naturali, che, nel periodo del Covid-19, sono stati calpestati o limitati. Da quando è stato introdotto, io sono sempre stato contro l’obbligo vaccinale. Nessuno può affermare che un prodotto farmaceutico, di qualsiasi tipo, non possa produrre effetti collaterali. Nei miei incontri in giro per il Veneto tanti sono venuti a ringraziarmi per il coraggio e l’ottimismo che ho trasmesso e per non aver diffuso terrorismo negativo, come ho visto fare, mi si permetta la battuta, dalle autorità in… competenti».
Mentre faceva il medico, era anche il sindaco di Santa Lucia di Piave.
«Ho svolto quattro mandati da sindaco e due da vicesindaco: 28 anni consecutivi, la prima elezione nel 1994. Quella della politica è una passione che avevo da sempre. Comunque ogni mattina alle 7 e mezzo ero in ambulatorio. Non ho mai smesso di esercitare: prima ero medico e poi sindaco».
Un altro punto qualificante del suo programma è l’autonomia. Ma stiamo parlando di autonomia o d’indipendenza?
«Noi siamo una formazione pluralista. Ci sono gli indipendentisti, gli autonomisti e quelli che la pensano diversamente. Però ci poniamo in maniera alternativa ai noti schieramenti di destra, di sinistra e quant’altro: noi vogliamo essere rappresentanti di quel territorio che ci ha ci ha dato la possibilità di partecipare alle elezioni. Nessuno è venuto a offrirci il collegamento per evitare la raccolta delle firme: credo però che, se fosse accaduto, l’avremmo rifiutato».
Resistere Veneto è un progetto che continuerà dopo le Regionali?
«Ovviamente, se entreremo in Consiglio avremo più voce in capitolo, ci ascolteranno un po’ di più. Non nascondo che abbiamo fatto tutto con i social e con il passaparola; non abbiamo avuto comparsate in tivù alla grande come succede ad altri candidati. Finora ci siamo autofinanziati, certo non possiamo permetterci spese folli. Dobbiamo valutare come spendere ogni singolo euro».
Nel suo programma figura anche l’introduzione della lingua veneta nelle scuole. Ma non trova che tra le varie zone del Veneto ci avverto tante sfumature diverse?
«Io faccio sempre questo esempio. Anche in Germania il tedesco non è unico. Se uno va in Baviera o in Renania-Vestafalia sente due lingue diverse. Ma le radici sono le medesime. Lo stesso vale per la cultura veneta, ancora ridotta a repubblica marinara: quando invece è arte, cultura, cattolicesimo. Perché non riconoscerla come un’identità che ha avuto mille anni di storia? Alcuni nostri candidati sono stati a Roma per presentare una proposta di legge d’iniziativa popolare che prevede l’insegnamento, in ogni regione, della lingua e della storia d’origine. Altrimenti alla fine cosa parliamo: solo inglese? No, basta per favore».