Chiesa
“Immensa tristezza”. Così Papa Leone XIV esprime il suo dolore, “forte”, per i rapimenti di sacerdoti, fedeli e studenti avvenuti in Nigeria e Camerum; “soprattutto per i tanti ragazzi e ragazze sequestrati e per le loro famiglie angosciate”.
È ancora sul sagrato della basilica di San Pietro, il Papa, ha appena concluso la celebrazione eucaristica nella giornata dedicata al Giubileo dei Cori e delle Corali e a loro ricorda le parole di sant’Agostino: “il canto è proprio di chi ama: colui che canta esprime l’amore, ma anche il dolore, la tenerezza e il desiderio che albergano nel suo cuore e, nello stesso tempo, ama colui a cui rivolge il suo canto”.
È sul sagrato di San Pietro, dunque, e rivolge il suo pensiero a quanto accaduto in terra africana: circa 300 bambini e ragazzi insieme a 12 insegnati rapiti, dopo che in precedenza erano state sequestrate 25 ragazze portate via con la forza dalla scuola che frequentavano in Nigeria. Decine di chiese date alle fiamme e sacerdoti e fedeli uccisi, circa 200, in Camerun dove la violenza dei miliziani e terroristi islamici ha provocato migliaia di morti e più di 2 milioni di sfollati. È un “accorato appello” quello del vescovo di Roma che chiede l’immediata liberazione di tutti gli ostaggi e esorta “le autorità competenti a prendere decisioni adeguate e tempestive per assicurarne il rilascio. Preghiamo per questi nostri fratelli e sorelle, e perché sempre e ovunque le chiese e le scuole restino luoghi di sicurezza e di speranza”.
Parole nella domenica in cui la liturgia ricorda la festa di Cristo Signore dell’universo “sovrano mite ed umile – afferma Leone XIV – colui che è principio e fine di tutte le cose. Il suo potere è l’amore, il suo trono è la Croce e, per mezzo della Croce, il suo Regno si irradia sul mondo”. Il Papa prega perché “ogni giovane scopra la bellezza e la gioia di seguire Lui, il Signore, e di dedicarsi al suo Regno di amore, di giustizia e di pace”.
È l’ultima domenica dell’anno liturgico, la prossima sarà la prima di Avvento, e le letture ci fanno riflettere sulla regalità di Cristo che si manifesta diversamente dalle nostre categorie e chiede a noi di capire che è lui il centro della storia, delle nostre piccole storie e di quella più grande che comprende l’intera umanità. Il paradosso è nel fatto che cogliamo questa sua sovranità nel volto sofferente e umiliato della morte sulla croce.
Nell’imminenza del suoi primo viaggio internazionale in Turchia e Libano – inizierà tra quattro giorni, il prossimo 27 novembre – il Papa annuncia la pubblicazione della sua Lettera apostolica In unitate fidei che fa memoria dei 1.700 anni del Concilio di Nicea, il primo ecumenico. Nel testo il Papa chiede “a tutta la chiesa” di rinnovare il suo slancio verso la piena unità, pur nel rispetto delle legittime diversità; di “camminare insieme per raggiungere l’unità e la riconciliazione, lasciandosi alle spalle controversie teologiche hanno perso la loro ragion d’essere per acquisire un pensiero comune”.
Cosa avvenne a Nicea? Più di duecento vescovi, provenienti per la più parte da Oriente, si ritrovarono in questa località su invito dell’imperatore Costantino, per affrontare un tema teologico centrale per la fede cristiana: la natura di Gesù Cristo e il suo rapporto con il Padre. Il Credo di Nicea inizia proprio “professando la fede in Dio, l’Onnipotente, il Creatore del cielo e della terra”. Oggi però Dio e la questione di Dio, scrive Leone XIV nella Lettera apostolica, non ha più “quasi più significato nella vita. Il Concilio Vaticano II ha rimarcato che i cristiani sono almeno in parte responsabili di questa situazione, perché non testimoniano la vera fede e nascondono il vero volto di Dio con stili di vita e azioni lontane dal Vangelo”.
Il Papa scrive ancora che “si sono combattute guerre, si è ucciso, perseguitato e discriminato in nome di Dio. Invece di annunciare un Dio misericordioso, si è parlato di un Dio vendicatore che incute terrore e punisce. Il Credo di Nicea ci invita allora a un esame di coscienza. Che cosa significa Dio per me e come testimonio la fede in Lui?”
Per il vescovo di Roma non si tratta di tornare indietro a prima delle divisioni, né “un riconoscimento reciproco dell’attuale status quo della diversità delle Chiese e delle Comunità ecclesiali, ma piuttosto un ecumenismo rivolto al futuro, di riconciliazione sulla via del dialogo, di scambio dei nostri doni e patrimoni spirituali. Il ristabilimento dell’unità tra i cristiani non ci rende più poveri, anzi, ci arricchisce”.
Quello che ci unisce “è molto più di quello che ci divide”, afferma ancora Leone, e “in un mondo diviso e lacerato da molti conflitti, l’unica Comunità cristiana universale può essere segno di pace e strumento di riconciliazione contribuendo in modo decisivo a un impegno mondiale per la pace”.